Papini, il fabbro che beffò l’imperatore

Livorno. «Scasso matto» all’imperatore austriaco durante la Prima Guerra Mondiale: al di là del mix verbale, chi poté vantarsi d’una impresa di tale portata? Ebbene: un cittadino livornese. E di che razza! Natale Papini (1881-1967), fabbro dalla mano fatata e dai nervi d’acciaio, mago d’ogni sorta di chiavi, serrature e casseforti: quel temerario che, nel dicembre del ‘16, fu incaricato da alti funzionari del governo di partecipare a un blitz notturno nel consolato austriaco di Zurigo. Una missione pericolosissima e di smisurata utilità per il nostro controspionaggio, che avrebbe dato un energico giro di vite al quadro bellico italiano nel contesto del conflitto del ‘15-’18.
Un uomo di fiducia. «Mio nonno materno - racconta Aldo Melani, 73 anni, nipote di Papini - di mestiere faceva il fabbro. Come mai venne scelto proprio lui? La storia è questa: nel 1916, i «soliti ignoti» svaligiarono una banca di Viareggio. Considerate le sue capacità, risalirono subito a lui come autore delle chiavi che erano state utilizzate nel colpo. E Natale, infatti, ammise d’averle fabbricate, ma non fece mai i nomi dei suoi clienti. Insomma, si cucì la bocca, facendosi così qualche mese ai «Domenicani» in attesa del processo». Un uomo di fiducia, tutto d’un pezzo, dunque. A tal punto che, dopo essere uscito di prigione, fu contattato dall’«intelligence» dell’epoca. Il funzionario di polizia che lo aveva fatto arrestare, infatti, era divenuto nel frattempo questore di Milano ed eminenza grigia dei servizi segreti. Le cui teste di serie, date le pesanti perdite che la flotta navale militare italiana stava subendo in guerra per via dei reiterati sabotaggi ed attentati orchestrati dalle spie austro-tedesche, avevano ideato un piano audacissimo.
L’asso nella manica. Vale a dire introdurre un proprio 007 nel consolato austriaco di Zurigo, dove era impiegato l’avvocato Livio Bini, abile doppiogiochista che aveva confidato alle autorità italiane che, in una cassaforte dell’edificio, erano custoditi dei documenti con i nomi delle spie e dei collaborazionisti dell’asse nemico. L’infiltrato, oltre a possedere un’abilità tecnica eccezionale nell’aprire le casse blindate,  avrebbe dovuto avere sangue freddo da vendere e, soprattutto, se si fosse fatto scoprire, il coraggio adamantino di tenere la lingua a freno. Tanto, vista la brutta parata, il governo italiano avrebbe comunque negato qualsiasi coinvolgimento, al fine di mantenere i consueti buoni rapporti con la neutrale Svizzera. Chi scegliere quindi? Ma l’intrigante Natale Papini, l’asso nella manica.
L'imperatore beffato. «Pur non rivelandogli niente in merito alla documentazione segreta - prosegue Melani - a mio nonno promisero che, se avesse aperto la cassaforte dell’ambasciata, sarebbe stato ricompensato, in primo luogo con i valori contenuti nella cassaforte stessa. E lui, dopo qualche tentennamento, accettò». Così sotto falso nome - Gino Gasparri - raggiunse Zurigo e iniziò a lavorare al consolato, dimostrando una segretezza più che ermetica durante il periodo di preparazione. Poi, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 1917, un commando di 6 elementi coordinato dal tenente di vascello Pompeo Aloisi (oltre a Papini, il fabbro triestino Remigio Bronzin, l’avvocato Livio Bini e gli ufficiali della marina Tanzini, Bonnes e Cappelletti) scivolò nell’ambasciata attraverso l’oscurità e il silenzio e, nonostante le 7 ore che ci vollero per espugnare il caveau, tutto filò liscio come l’olio. Alla fine, i nomi degli agenti segreti del nemico furono finalmente noti ai papaveri del controspionaggio di casa nostra.
Una strada per Papini. Ma a Natale Papini non fu concessa alcuna onorificenza ufficiale. E neppure le ricchezze contenute nella cassaforte. Certo, ebbe 32mila lire di ricompensa. Ma per il suo atto eroico e patriottico, che ha di sicuro del leggendario, non ebbe davvero un compenso adeguato. Qualcuno ha insinuato che fosse addirittura un ladro, uno scassinatore di mestiere: ma è risaputo quanto la gente ami romanzare la realtà. Per questo motivo Claudio De Simoni, presidente dell’associazione culturale «La Livornina» - sodalizio che si occupa con fare certosino di passare al setaccio la storia labronica e che ha dedicato proprio a Papini una serata nell’ultima edizione di «Effetto Venezia» - ha lanciato un appello accorato alle istituzioni: e cioè dedicare una strada della città a Natale Papini, uno dei personaggi che non solo hanno fatto la storia di Livorno, ma dell’Italia intera.

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