Baryonyx, rock all'italiana e humour su Facebook

Livorno. Si chiamano “Baryonyx” e devono il loro nome a un dinosauro carnivoro vissuto circa 120 milioni di anni fa, grosso modo somigliante a un coccodrillo alto tre metri e lungo come un autobus, una creatura possente. Eppure si considerano, pregiandosi di modestia, una “Cenerentola rock del contesto nazionale e internazionale”: semplicemente perché, pur avendo pochi mezzi a disposizione, sono riusciti negli anni a ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nell’àmbito musicale de noàntri. E lo hanno fatto con la genialità e col sudore, senza percorrere le scorciatoie dei talent show o approfittare dell’affiliazione ai consueti cerchi magici oppure inventarsi montature mediatiche per farsi pubblicità. Insomma, il loro successo, oltre che meritato, è limpido.

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Pupi Avati dà il ciak: «Ora lasciatevi spaventare da me»

Livorno. È stato il maestro Pupi Avati, deliziando la platea del cinema 4 Mori con la sua intelligente ironia e una signorilità fuori del comune, a dare il primo ciak alla terza edizione del “Fi-Pi-Li Horror Festival”, kermesse cinematografica, teatrale e letteraria organizzata dall’associazione culturale livornese “Il Teatro della Cipolla”.
Classe 1938, regista multiforme di fama mondiale, Avati ha siglato decine di pellicole di successo (solo ad esempio, per quanto riguarda i generi thriller e horror, “La casa dalle finestre che ridono”, “Zeder” e “L’arcano incantatore”), ha co-sceneggiato “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (l'ultima fatica di Pier Paolo Pasolini) e ha vinto due David di Donatello e un David Luchino Visconti: l’impronta della sua mano è nella “Walk of Fame” della Croisette, a Cannes.
Avati, «il ragazzo di provincia che cercava di farsi notare» (come lui stesso si è definito tra il serio e il faceto), ha parlato di quando era bambino e del fatto che, in tenerissima età, gli venissero raccontate delle favole che gli incutevano terrore. «Era molto divertente per loro spaventarmi – ha osservato – e quindi, a un certo punto, è stato molto divertente per me spaventare gli altri»: ecco spiegato il suo amore per la cinematografia horror, radicato all’interno di un precoce apprendimento del sentimento della paura, perciò dovuto a una sorta di imprinting.
Dopo aver rinunciato a una carriera musicale come jazzista a causa dell’ingresso di Lucio Dalla nell’orchestra in cui suonava, il quale, purtroppo per lui, lo superava in talento, Avati ha raccontato di aver lavorato per qualche anno per la Findus (quella dei surgelati). Poi, la svolta: venne folgorato dal film “8 1/2” di Fellini, che lo convinse a intraprendere la carriera di regista cinematografico: «Attraverso il cinema sono riuscito a dire chi sono», questa la sua considerazione definitiva. 
Non è mancata l’aneddotica divertente, ossia quando ha parlato del casting del film “La seconda notte di nozze”, in cui scelse Katia Ricciarelli per il ruolo della vedova Liliana Vespero mentre «aveva il cervello in emergenza», cioè a tavola, mentre era un po’ alticcio. A dispetto di ogni previsione, quando in molti gli manifestavano ostilità per questa sua decisione e il tutto confluiva inevitabilmente in spassose peripezie, la scelta risultò vincente, tant’è vero che la Ricciarelli vinse poi il “Nastro d’argento” come miglior attrice protagonista.
A incontro finito, è stato proiettato il cult movie “La casa dalle finestre che ridono”. La giornata inaugurale del festival è proseguita col film “I Rec You” di Federico Sfascia, preceduto anch’esso da un faccia a faccia col regista: un regista così brillante – Sfascia – da aver convinto un artista del calibro di Terry Gilliam (membro dei Monty Python) a far parte del cast del suo film. In serata il critico cinematografico Federico Frusciante ha presentato “Shining” di Stanley Kubrick, che è stato proiettato in pellicola da 35 mm per gentile concessione dei familiari del grande cineasta.

Leonardo Fiaschi show alla conquista di Italia's Got Talent

Livorno. Da “Italia’s Got Talent” con furore. È Leonardo Fiaschi, classe 1985, imitatore, cantante e cabarettista livornese, uno dei pochissimi che è riuscito a strappare al terribile Rudy Zerbi il giudizio: «Straordinario». Ma Fiaschi a “Italia’s Got Talent” (in onda su Canale 5) ha messo tutti d’accordo.
Ha preso in prestito le voci di Gianni Morandi, Rocco Papaleo, Biagio Antonacci, Gianna Nannini, Roberto Benigni, Emilio Fede, ha passato il turno con lode ed è volato in semifinale. «È pazzesco», ha sottolineato Maria De Filippi. E, per finire, il terzo giurato Gerry Scotti, con riferimento all’eccellenza della sua performance, ha ipotizzato: «Qualche serata l’ha fatta lui al posto di Antonacci». 
Bucare lo schermo è un dono che non si può acquisire: o ce l’hai o non ce l’hai. Fiaschi ce l’ha. E l’ha dimostrato scendendo nell’arena durante la prima puntata del programma di Canale 5, che ha registrato un boom d’ascolti con oltre 7 milioni di telespettatori. «Il mio obbiettivo non è vincere, ma portare Rudy Zerbi a bere il ponce dal Civili», rivela sornione. Ma Leonardo non è solo un imitatore. È poliedrico, multiforme. E, malgrado sia solo ventisettenne, vanta un curriculum di tutto rispetto, arricchito anche grazie all’amore della sua musa ispiratrice: la fidanzata Camilla.
Diplomato attore presso l’associazione culturale Vertigo, ha frequentato il Laboratorio Zelig di Firenze, ha partecipato a trasmissioni regionali (“Fi-Pi-Li”, “Panni sporchi”, “Niente di nuovo”) e nazionali (“Festa italiana”, “Cercasi comico disperatamente”, “Comicittà”, “Speciale calciomercato”) e ha collaborato a “Striscia la Notizia”. È stato sotto le luci della ribalta durante “Enrico VIII”, “Novecento” e “Le allegre comari di Windsor”. Nel 2009 ha conosciuto il regista e autore satirico Andrea Camerini, che lo ha portato con sé a Radio 101: adesso, insieme a Cristiano Militello, Paolo Cavallone, Sara e Sergio Sironi, fa infatti il mattatore a “La carica di 101”, programma che va in onda dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 10. Ha recitato nel film “Aglien”, parodia di “Alien” firmata da Camerini, in cui interpreta il transessuale dell’astronave. E contemporaneamente, col suo spettacolo “Tutti i fiaschi della mia vita”, sta continuando a esibirsi nei teatri e nelle piazze di tutta Italia, soprattutto della Toscana: il suo è un one-man-show in cui fa il verso ad alcune celebrità mai imitate da nessuno, sinora. «A breve aggiungerò ai miei personaggi anche lo chef Gordon Ramsay di “Hell’s Kitchen”», ci confida. E aggiunge: «Il mio sogno, comunque, resta il cinema».

Un poliziesco tutto da ridere

Livorno. Giovani film–makers crescono. È il caso del livornese Paolo Taddei, regista, sceneggiatore e tecnico di post–produzione, senza dubbio un creativo come ce ne sono pochi sulla piazza labronica. Da ben 11 anni Paolo si occupa infatti di cortometraggi, che puntualmente raccoglie sul sito www.tfproduction.eu. Ha collaborato con “I Licaoni”, l’associazione livornese che porta alta la bandiera dello humour demenziale tipico delle pellicole d’oltreoceano, nonché a varie edizioni dell’osannato “Don Zauker Talk Show” dei due autori Caluri e Pagani, entrambi griffati Vernacoliere. Ma – questa la novità – di recente Taddei ha terminato di girare l’ultima sua fatica, vale a dire “Uno scomodo omicidio per l’ispettore Danzi”, commedia poliziesca in salsa livornese che omaggia il filone “poliziottesco” degli anni ’70. La trama è tra le più scontate della cinematografia: c’è stato un omicidio e l’ispettore Danzi è chiamato a indagare sul caso, ma tanti saranno gli improbabili contrattempi con cui il povero tutore della legge dovrà fare i conti (per info dettagliate: www.lavorazione.blogspot.com).
«“Uno scomodo omicidio per l’ispettore Danzi” – spiega Taddei – nei suoi punti nevralgici è più volte interrotto, come se lo spettatore si trovasse davanti alla TV, da cambi di canale che finiscono per dare su un altro film di natura totalmente diversa. Cioè un “filmóne” di fantascienza di serie Z dal titolo “Il pianeta in fondo all’universo”, anche questo concepito con spirito burlesco dal nostro staff: tant’è vero che è caratterizzato da effetti speciali alla Ed Wood, tipo dischi volanti appesi a fili sottilissimi e fatti passare davanti alla cinepresa». «Gli attori di questi “due film in uno” – continua il regista – sono Valerio Rolla, Pierfrancesco Tesi, Roberto Ciaponi, Maurizio Serraggi, Fabio Chiarelli e Laura Purromuto: tutte persone che si divertono come matte a prendersi gioco del cinema. Gli straordinari effetti speciali – mi riferisco a un disco volante e a un alieno che comunica in modo molto particolare – sono invece di Maura Mazzoli».
Questo originale “cross–over cinematografico”, la cui “prima” è prevista per la fine di settembre e sarà preceduta da un ulteriore cortometraggio (sempre firmato Taddei & C.) ambientato nell’esilarante Livorno di 35 milioni di anni fa, ha avuto come locations il quartiere delle Sorgenti e una nota cava della Valle Benedetta. «Pur essendo a basso costo – aggiunge Taddei – si tratta di una produzione che è ben lontana dall’essere considerata scadente, soprattutto dal punto di vista visivo. Ogni inquadratura è stata difatti rielaborata in post–produzione: nel poliziesco ci sono immagini virate in giallo e “desaturate” per ricreare un effetto pellicola anni ’70, mentre ne “Il pianeta in fondo all’universo” abbiamo usato dei filtri verdi e sporcato la pellicola per invecchiarla». «Le riprese – conclude – sono state uno spasso. Lavorare con Valerio, Maurizio, Roberto e tutti gli altri è stato come tornare all’asilo e giocare tutto il giorno senza pensieri. È stata una bella esperienza, specie quando abbiamo girato le scene del film di fantascienza: vederli sotto il sole cocente con addosso i costumi pesantissimi da astronauti è stato davvero da pisciarsi addosso dalle risate!».

Vergassola: le interviste impossibili scaldano la platea della Fortezza Vecchia

Livorno. Dario Vergassola è un “dinamitardo del giornalismo”. Nel senso che, durante le sue “Interviste impossibili”, è capace di far saltare le porte chiuse a tripla mandata delle domande tradizionali. E le risposte preconfezionate, a prescindere dal malcapitato, hanno il fiato corto. A dare fuoco alle polveri del Vergassola–style ci pensano un fuoco di fila di doppi sensi e il conseguente imbarazzo dei big intervistati. E niente e nessuno si salvano, è assodato. Neppure la sua città natale, che irride a tutto vantaggio della nostra: «Livorno al confronto di La Spezia sembra Las Vegas!».
Tra gli appuntamenti più attesi nel cartellone della Festa del Vernacoliere, lo show del folletto delle interviste fuori dagli schemi ha registrato domenica sera 800 presenze. E, com’era prevedibile, in 800 si sono scompisciati dalle risate, specie quando ha raccontato delle sue interviste impossibili alle donne dello showbusiness. Alcune delle quali, per dirla con Dario, «hanno il cervello inversamente proporzionale alle tette». Tra le fuoriclasse del jetset che Vergassola ha intervistato, Valeria Marini, Simona Ventura, Natalia Estrada, Martina Colombari, Asia Argento, Nina Moric e molte altre. Le domande? Quella fatta alla Marini: «Lei sa cantare, ballare e recitare? Sì? E allora perché ce lo ha tenuto nascosto fino ad ora?». Quella fatta alla Ventura: «Si ricorda la sua prima volta? Sì? E quanti eravate?». Quella fatta alla Estrada: «So che lei vuole sfondare in America. Perché? Anche Bush ha un fratello scemo?». Roba da farci rimanere di ghiaccio pure i paraghi del Voliani. Ma persino i politici sono finiti nel carniere di questo comico che, nonostante la stazza non proprio titanica, è un vero “buttafuori della malinconia”. Che cosa ha chiesto Vergassola, prima delle ultime elezioni politiche, a Romano Prodi? «È vero che le cose migliori le vengono in bicicletta? Sì? Allora l’eurotax dove le è venuta? In seggiovia?».
Imbracciata la chitarra, ecco il momento musicale dello spettacolo, con alcuni brani sull’amore e sul rapporto di coppia, naturalmente visti dall’angolazione di Dario Vergassola. Anche se, come dice lui stesso, «io sto alle donne come un diabetico sta alla meringata». Moglie, mamma, nonna, suocera–cinghiale: bonariamente, Dario ha meleggiato pure le signore della sua famiglia. E, infine, un po’ d’ironia anche sulla povertà. Perché, come recita una sua vecchia battuta: «I miei genitori erano poverissimi, io continuo a essere povero e anche i miei figli lo saranno perché amo mantenere le tradizioni».

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