Introduzione alla Corazzata Potëmkin

Diversi piantacarote al settimo cielo hanno tentato di turbare la mia pazienza rifilandomi domande birichine circa il titolo di questa rubrica. Orbene: “La Corazzata Potëmkin” prende le mosse da una celebre battuta cinematografica del ragionier Ugo Fantozzi (vale a dire: «Per me la Corazzata Potëmkin è una ….ta pazzesca!»). Vomitata in faccia a chi abusa con assurda prepotenza della propria posizione costringendo i subalterni a sorbirsi, al posto della disputa calcistica degli azzurri, una tra le opere più alte del cinema mondiale: “La Corazzata Potëmkin” del regista russo Sergej Ejzenstejn. Una perla, senza dubbio. Ma poco apprezzata dagli impiegati della “Fantozzìade”, vuoi per la comprensibile preferenza verso il gioco del calcio, vuoi per – nella finzione cinematografica – l’agghiacciante durata del film, da anorgasmia. Insomma, l’“apprezzamento” di Fantozzi è una stilettata liberatoria contro le incresciose birbanterie che da tempo immemore gravitano intorno al potere, una battuta infelice che racchiude tanta disillusione. Quella di coloro che – considerati a priori di serie B per ragioni spesso inconsistenti – sono costretti a muoversi nella boscaglia più zozza e contaminata (o nella Repubblica Democratica di Brasilia, se preferite), schietti e senza paura come cinghiali. Cinghiali liberi – o perlomeno persuasi d’esserlo – che corrono disperati per viottoli difficili, lungo i quali i sogni e gli ideali più alti non sono ancora evaporati. Cinghiali che corrono sì a perdifiato, sì con furioso entusiasmo, tuttavia senza spezzare un solo fiore o un ramoscello e, si badi bene, senza far male a una mosca. Cinghiali che vedono il mondo con occhi di cucciolo; ovverosia, fuor di metafora, uomini che vedono il mondo con occhi di bambino. E di come va il mondo si meravigliano, coscienti che le cose dovrebbero andare in tutt’altro modo.
Arduo da capire? Allora, quale ideale proseguo di questa introduzione insaporita di riferimenti cinematografici, al fine di facilitare la comprensione del succitato disegno eccomi tosto, in virtù del gentile contributo dell’amico Paolo “Paolino” Ruffini (affermato personaggio dello spettacolo e critico cinematografico di livello), a consigliarvi un bel film: “Dogville” di Lars Von Trier. Vale a dire «una di quelle rare esperienze che prescindono dalla settima e diventano arte pura, prima al di là (dello schermo, della scenografia, della recitazione), poi al di qua (nel nostro intimo, nella nostra vita). “Dogville” è un assoluto sullo scibile umano, sugli stereotipi di noi stessi nelle vesti dei personaggi delle nostre realtà, sui cliché che violentano il nostro primordiale buon senso. Un film che “fa teatro” al cinema e si distacca da modi e tecniche per un “unicum” – non è un amaro medicinale – illustrato e mai didascalico, disadorno ma narrato nel dettaglio. “Dogville” sembrerebbe dunque un capolavoro, partorito felicemente da questo regista danese in trasferta che non si vende e neanche si noleggia, il cui sguardo politico e favolistico dà una lezione di stile ad una America che fa sempre il bello e il cattivo tempo alla faccia dell’Europa».
Che dire, quindi? Guardate “Dogville” senza pregiudizi. Così capirete anche perché “per me la Corazzata Potëmkin è una ....ta pazzesca”. E scoprirete che tutto risiede soltanto nel fatto d’essere o meno capaci – o nell’avere il coraggio – di vedere il mondo con gli occhi di un bambino.

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