A bombazza!

Che tempi, quelli d’inizio secolo. In principio era Lui, Silvio Berlusconi, quello del Primo Avvento, che, a fasi alterne dal 1994 al 2011, fece il Premier a tempo perso e il macho a tempo ritrovato. Laureato in legge in fila per tre col resto di due, per anni mantenne l’Italia della crisi in fase istruttoria, giammai facendola approdare a quella dibattimentale. Manager rampante, con Lui l'esecutivo e il capitale privatizzarono anche il soprannaturale, trasformando la penisola in una SpA gigantesca: SpA, cioè “Soltanto Per Arcore”. Fervente cattolico, la tentazione della rettitudine fu per Lui fonte di vizio: perciò il buon Dio gli impose per tutta la vita di resistere a tale tentazione. Eccellente statista, basò sempre le proprie obiezioni solo sul presupposto che gli altri avessero torto e dei problemi e delle tragedie ebbe ogni volta una visuale a volo d’uccello. Insomma, in bilico tra altera ritrosia e paurosa castità, un sultano coscienzioso, che mai venne colto a sgassare dalle terga senza cognizione di causa.
Siccome fin dall’alba dei tempi l’aveva pensata esattamente come se stesso, pertanto ritenendo Lui che la vorace credulità del popolo fosse il principale strumento della macchinazione governativa, nell’ottobre del 2011, considerato il rigor mortis economico dello stivale, rilasciò una dichiarazione credibilissima che colpì persino i Teletubbies, le alpache del Perù e i bradipi di Castellammare di Stabia: «Stiamo lavorando su riforme decisive per il presente e per il futuro del Paese». Verosimilmente, stava pensando ad una nuova pillola contro il deficit erettile. Fu davvero troppo. Un mesetto dopo il principe ridanciano rassegnò le dimissioni da Presidente del Consiglio dei Ministri: veniva, prima d’ogni altra cosa, la sua rata del mutuo.
A ruota si manifestò l’Altro, Mario Monti, quello del Secondo Avvento. L’Altro, il sobrio gran visir dell’economia, agnello per natura e lupo per professione, che ad ogni inedita catastrofe riusciva comunque a mantenersi anormalmente normale. Campione di robotica temperanza, ad ogni piè sospinto rotto alle fatiche e alle astuzie dell’UE, soltanto col controtorpore ieratico seppe rispondere alla messinscena fantozziana del Primo Avvento. Nell’Italia di quei tempi, il Governo proponeva e il Parlamento decideva: senz’altro decideva dopo la campagna acquisti. Difatti, il 16 dicembre del 2011, il decreto salva–Belpaese del misurato Primo Ministro venne approvato dalla Camera dei Deputati e, di lì a poco, a seguito dell’esame del Senato, avrebbe incassato il via libera definitivo. Ah beh, sì beh: ravvisare “giustizia sociale” in quella manovra, in altre parole l’impegno nel contrastare abusi, sperequazioni e “corruzioni istituzionalizzate”, era come liberare per sempre il circondario napoletano dall’immondizia. Vale a dire: un sogno nel cassonetto.
Eppure, qualche settimana prima, a Palazzo Giustiniani, in conferenza stampa, per una volta talmente eccitato che si era messo la lingua in bocca da solo, l’Altro si era così espresso: «Non ho mai detto “lacrime e sangue”, ma sacrifici forse sì». Sacrifici “forse sì”?! Sveglia! Giù dalle brande! Altro che demagogia e populismo: contro il mondo del lavoro e le politiche del welfare, fu un goal a porta vuota. Che ne era stato delle misure in grado di colpire con massiccia efficacia l’evasione fiscale e i grandi patrimoni? E di una riforma della previdenza che non fosse scaricata soltanto sulle spalle di lavoratori e pensionati? E della concreta e sostenibile riduzione dei costi della politica? E di una riforma fiscale che alleggerisse la tassazione sui redditi da lavoro dipendente e da pensione? Ah beh, sì beh: niente di draconiano sotto il sole, se non nei confronti dei soliti noti. Un’automobile aveva attraversato la strada sulle strisce pedonali ed era stata investita da un cinghiale: poiché ci sono sempre alti accademici disposti a preservare il mondo dagli orrori del libero pensiero.
Il Primo e il Secondo Avvento avevano avuto diversi punti di contatto. Ma l’idea fissa per eccellenza – da Lui fatta tradurre in termini tecnici, dall’Altro fatta, se non altro, prospettare – era stata quella di voler riformare ad ogni costo l’Articolo 18, in particolare la norma sui licenziamenti, riscrivendo le discipline che delimitavano l’area del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ovviamente a discapito del lavoratore. Riformare “ad ogni costo”: anche a costo di sacrificare la cosiddetta “pace sociale”, peraltro già in parte compromessa per via dell’incresciosa cassa integrazione dell’economia del Bengodi.
Fine ottobre 2011: «Basta creare tensioni sulla riforma del lavoro che può portare a nuove stagioni di attentati. Ho paura. Ma non per me, poiché sono protetto. Ho paura per persone che potrebbero non essere protette e, proprio per questo, diventare bersaglio della violenza politica che, nel nostro Paese, non si è del tutto estinta», aveva osservato Maurizio Sacconi, l’allora Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, evocando così degli scenari terroristici. Bingo! Se un facinoroso, colto da distrazione, si fosse dimenticato di scagliare un estintore contro una vetrina alla prima occasione utile, Sacconi, sottile come una balena spiaggiata, con la sua pirla di saggezza almeno glielo aveva ricordato.
Da quale finissimo capello “pace sociale” smetteva di penzolare quale espressione vuota e diventava vita vissuta? Non sul capello dei ministri, dei deputati, dei senatori, dei politici di successo, dei capitani d’industria e dei giornalisti da salotto, impegnati tutto il dì a gustarsi Chupa Chups poiché benestanti: loro non potevano afferrare appieno il significato della locuzione “sopraffazione legalizzata” perché non avevano mai lavorato su turni in una catena di montaggio per 900 euro al mese. Non potevano sapere che cosa si provasse ad essere scambiati per sputacchiere umane nelle fabbriche e, di conseguenza, non conoscevano affatto la suscettibilità, la frustrazione e la rabbia che ne potevano conseguire. Erano dei dilettanti in merito e, dunque, se di ciò argomentavano con eccessiva fermezza, facevano dei passi falsi da operetta. Occuparsi di provvedimenti capaci di superare le tutele dello Statuto dei Lavoratori, oltretutto accendendo, nel contempo, micce di divisione sociale, poteva condurre alla mattanza…
Il 9 dicembre del 2011, la sorpresa di Natale. Un plico venne recapitato via posta a Marco Cuccagna, Direttore Generale di Equitalia, società deputata a gestire il servizio nazionale di riscossione dei tributi. Cuccagna lo aprì e questo esplose, staccandogli una falange e ferendolo agli occhi.
Ah beh, sì beh: Maurizio Sacconi, novello Nostradamus.

(Febbraio, 2012)

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