Ragazzi, vi spiego «Benneide»

Livorno. Un botta e risposta all’insegna dell’ironia e del sarcasmo quello che mercoledì pomeriggio ha scaldato la platea del Goldoni. Da una parte gli studenti delle scuole cittadine coinvolte nel percorso di educazione al linguaggio teatrale del «Cel Teatro di Livorno». Dall’altra Stefano Benni ed Angela Finocchiaro, rispettivamente autore ed interprete dello spettacolo «Benneide», andato in scena in serata, che ha visto sul palco una «Alice stralunata e stupita» compiere un viaggio nel nostro «Paese dei Meravigliosi Orrori».
Un incontro legato al cartellone di prosa «Vizi e Virtù - Appuntamenti con la storia contemporanea», realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno e mediato dal giornalista Luca Salvetti, che ha saputo legare con un filo sottile le tante ed acute domande formulate dal giovanissimo pubblico. Per lo più all’indirizzo del giornalista e scrittore Stefano Benni che innanzitutto, incalzato dal conduttore, ha confessato d’essere un profondo estimatore del giornalista Bruno Vespa; querele a parte, naturalmente. E poi ha raccontato l’inizio del sodalizio con l’attrice Angela Finocchiaro, per lui la migliore nel suo genere sulla piazza italiana: «Ho visto «Angiolina» recitare ed ho realizzato che mi sarebbe piaciuto parecchio farle interpretare un mio testo. Quindi ho fatto presente la cosa a lei, che ha accettato».
Una collaborazione molto apprezzata dalla simpatica e talentosa interprete di «Benneide», soprattutto per via delle radici drammatiche contenute negli scritti di Benni, «il quale, partendo da un nodo di disagio, propone situazioni cariche di drammaticità, ma anche di forte ironia».
Il ping-pong con la platea è stato dunque giocato attraverso un’alternanza di battute gustose e questioni più serie legate al mestiere d’entrambi gli artisti. Benni ha espresso il suo personale ed agghiacciante sgomento all’udire sia l’aggettivo «carino», specie se rivolto alle proprie opere, sia le risate di plastica - quelle registrate - della televisione, mezzo di comunicazione che negli ultimi anni, secondo l’autore, si è immiserito, è divenuto obsoleto, perdendo inevitabilmente terreno. E inoltre, dato che in verde età ha calcato il manto verde come ala destra, ha pure augurato con tutto il cuore la serie «A» alla  squadra  amaranto (probabilmente per un bel derby col Bologna), provocando negli astanti una baruffa di giustificati gesti scaramantici. La Finocchiaro, dal canto suo, ha lanciato il suo anatema contro i «Ddt» (i «Drogati da telefonino»), ed ha rivelato l’estrema difficoltà di lavorare a «Zelig»: «Uno, due, battuta. Uno, due, battuta. E, se non viene sempre giù la sala, ti tagliano».

Brass, il regista tra eros e censura

Livorno. «La fama di «scandaloso» non mi dispiace affatto. Perché lo scandalo è l’elemento chiave del surrealismo, dal quale prendo le mosse; dando uno scossone per ottenere dagli spettatori una partecipazione dialetticamente più attiva, si fa scandalo. E questo per rivoluzionare i contesti decrepiti, per rompere le situazioni morte. Ma, nel tentativo d’approdare a un «mondo nuovo», si deve andare innanzitutto alla ricerca dell’«uomo nuovo», ossia dell’uomo diverso, cambiato. E come cambia l’uomo? Per prima cosa, facendo i conti con se stesso, cioè con la propria sessualità».
Chi è che parla? Ma è proprio lui: Tinto Brass. Ospite dell’incontro che si è tenuto ieri presso il cinema Odeon, organizzato in tandem dalla GTL (Gestione Teatri Lippi) e dall’associazione cinematografica «Nido dei Cuculo».
Tinto Brass è il massimo dell’ironia: quando strizza l’occhio all’erotismo, trasgredisce, si diverte e fa parlare di sé. Sempre pronto, con i suoi «cul-movies» (per inciso: la «t» non difetta per involontario errore di battitura), a stendere il pubblico, a stupirlo piacevolmente e, quindi, a far man bassa di consensi. Da cinefilo Doc conosce la storia del cinema e perciò ama molto citare e rivisitare. Ma sempre in accordo col suo pensiero assai piccante, notoriamente attratto da quella «cosetta lì». Per questo chi si gusta un suo film è di solito colto dall’amletico dubbio: era senza mutande? No, purtroppo le aveva! E dunque, manco a farlo apposta, a fare la figura dei maliziosi sono coloro che hanno pensato male, non lui che ha appoggiato innocentemente la macchina da presa a terra. Guarda caso, puntandola con precisione balistica sotto la gonna della damigella di turno...
Pornografia? No, niente di tutto questo. «La differenza sostanziale tra pornografia ed erotismo - spiega - è sicuramente il linguaggio. Infatti, la prima riporta il fatto in se stesso, senza mediazione estetica o espressiva. Mentre l’erotismo si fa forza sul modo - ossia le luci, le inquadrature, le battute, il montaggio - col quale viene rappresentato il fatto. Trasgredire premeditatamente? No, non lo faccio apposta. Capita, girando, che mi vengano in mente delle cose. E tutto viene poi da sé».
«La censura - ha sottolineato - non potrà mai essere abolita. Può cambiare, ma non scomparire. Adesso è diversa rispetto al passato. Prima colpiva principalmente l’ideologia o il pensiero politico. Ora si è ristretta all’offesa al «comune senso del pudore». E, soprattutto, tiene molto in considerazione il futuro passaggio televisivo della pellicola».
E che cosa ha da dire Tinto Brass a proposito delle femmine scultoree delle sue pellicole? «A parte alcune attrici di livello come, per esempio, Stefania Sandrelli e Claudia Koll, sono convinto che non basti un bel culo per far carriera... se non c’è una mano che lo spinge». Una battuta da restarci secchi, non c’è che dire. Dopo la quale ha rincarato la dose, anticipando d’avere in cantiere un progetto dal titolo «Il culo è lo specchio dell’anima», ovviamente censurato ancor prima della partenza. La solita ironia? Ai posteri...
In serata è stato poi proiettato il film «Salon Kitty» del ‘75, ma non prima della consegna all’autore veneziano della meritata targa di riconoscimento.

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