Migone, ironia al vetriolo

Livorno. Con quell’occhio nero che si staglia sotto un alveare di ricci liberty e il candido spolverino spiritualmente poco compatibile con la sua ironia, il livornese Paolo Migone, ritagliandosi un ruolo di primo piano nello «Zelig» televisivo, si è fatto conoscere al grande pubblico. E grazie allo spot d’una nota marca di birra, nel quale la sua vena umoristica (in grado, di fatto, di calamitare l’attenzione del telespettatore) procedeva a briglia sciolta nel bailamme delle noiose pubblicità dell’etere, la sua popolarità è ulteriormente cresciuta. Ma, nonostante ciò, da buon patito dello scoglio labronico, mai si è dimenticato della sua città natale. E, proprio perché il primo amore non si scorda mai, sabato sera Migone è tornato a calcare la scena livornese, stendendo, con la sua satira tagliente e ricca di trovate verbali, gli spettatori dell’«Agip Petroli Club».
Uno spettacolo coi fiocchi, che ha visto aprirsi il sipario su una spietata singolar tenzone a colpi di spada tra papà Migone e il piccolissimo Bernardo. Poi, imbracciata la sua arma di precisione con proiettili al vetriolo, è iniziato il martirio. Il numero delle vittime finite nel mirino della sua brillante analisi socio-politica in chiave cabarettistica? Ignoto.
Inizialmente Migone, senza peli sulla lingua, ha preso infatti di mira lo «svincolóne» del Maroccone progettato dall’«ingegner Taboga», nel quale, data la ridondanza di raccordi e cartelli, «non è escluso che ci si possa perdere e trovare su una strada che viene dalle viscere della terra, magari di fronte a Nosferatu in persona». Ipotetico ingegnere di fama - il Taboga - che non poteva non figurare anche nel progetto del «poppóne», ossia del nuovo palazzetto dello sport: «Ma la velina sopra ce la levano o va bene così?» ha tuonato Paolo, oramai riscaldato. E come non lanciare pure una frecciata sulle palme del viale Italia? «Avete visto, finalmente alle palme hanno levato le passate!» E sul nuovo multisala? «Se esci in una sala dove stanno proiettando una storia d’amore e in quella accanto c’è un film di guerra, ti arrivano le mine sul groppóne!».
In seguito, ha raggiunto l’apice massacrando bonariamente vizi e virtù delle genti di Livorno. «I livornesi sono come i Maya: sono fissati con l’oro. Con le catene che portano al collo ci agguantano le navi!» e «i nostri giovani hanno dei seri problemi a sincronizzare il cervello con la lingua. Prima fanno partire il pensiero a caso, poi attaccano la lingua: e, se ogni tanto coincide qualcosa, è tutto grasso che cola!». Poi ha bersagliato gli usi e costumi più grotteschi della società italiana, accanendosi contro i quiz televisivi, «che ci nebulizzano il livello mentale», e sparando all’impazzata su veline, letterine, presentatori e compagnia bella. Con una puntatina anche sul rapporto di coppia, nel quale la donna è «l’orsetto lavatore» che, nelle faccende domestiche, toglie lo sporco possibile... pur dimostrando una spiccata propensione anche verso l’impossibile.
E, alla fine, non poteva mancare che lui: il «Silvio di Nazareth». Colui che, dopo essersi comprato la Sardegna, ed averla divisa in ville, fu colto da una tremenda perplessità: «Ma, se questa villa è mia e tutto lo spazio intorno è mio, che cazzo me ne faccio del cancello?»

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