Com’è dura la vita dei disabili

Livorno. Senza dubbio Livorno può contare su una dimensione associazionistica solidale d’ampio margine. Che svolge un’attività costante e duratura di tutela dei diritti di quei cittadini più deboli - per particolari condizioni esistenziali, quali l’età avanzata, la malattia e la disabilità - che subiscono sulla propria pelle il disinteresse della società, la carenza istituzionale e addirittura l’assenza di quei servizi indispensabili per assicurare loro una vita dignitosa. E in questa dimensione un ruolo di spicco è riservato all’Atp (Associazione toscana paraplegici); gente di polso che, innanzitutto, scende in campo per l’abbattimento di quelle barriere architettoniche che condizionano e rendono disagioso il vivere d’un qualsiasi para-tetraplegico.
Il gruppo. «La sezione livornese dell’Atp - a parlare è il presidente Giuseppe Bacci - è stata fondata nel 1991 e adesso conta 90 iscritti, dei quali 20 in carrozzina. Pur facendo capo allo statuto generale dell’associazione regionale, abbiamo scelto di essere autonomi sia a livello legislativo, sia a livello economico. Siamo riconosciuti dalle istituzioni e ci rapportiamo ottimamente con gli altri nuclei solidaristici livornesi». «Oltre alle partecipazioni alla Festa de «l’Unità» ed «Effetto Venezia» - che ci permettono di reperire fondi attraverso la vendita al pubblico dei gadgets - e alle nostre quote associative, siamo sostenuti dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, dalla Banca d’Italia, dalla Croce Rossa, dal Lyons Club, dal Comune di Livorno, dalla Regione Toscana e da altri soggetti pubblici e privati. La nostra funzione? Da anni ci battiamo soprattutto per l’eliminazione delle barriere architettoniche».
Barriere architettoniche. Scale, porte strette, strade sconnesse, marciapiedi non transitabili, servizi igienici non accessibili, telefoni e cassette postali appesi ad altezze inarrivabili, ascensori non agibili con la sedia a rotelle e quant’altro: l’abbattimento delle barriere architettoniche - questione già affrontata e risolta in altri paesi - è un dovuto atto di civiltà (tra l’altro spalleggiato con energia da specifiche disposizioni legislative) che ripaga sul piano sociale ed incentiva la solidarietà. «In questo contesto - dice il presidente - siamo in continuo rapporto di collaborazione e consulenza con le istituzioni E devo dire che le cose, rispetto a qualche anno fa, sono lievemente migliorate. Ma c’è un anello mancante tra il progetto d’una struttura e la sua esecuzione. In sintesi: magari il progetto è a norma di legge ma, a lavoro ultimato, c’è sempre qualcosa che non va». «In ospedale - dice Luciano Conterio, assistente del gruppo e padre di Danilo, segretario - abbiamo un protocollo d’intesa con la Usl secondo il quale possiamo circolare nei reparti per sottoporne l’architettura ai «raggi x» ed inoltrare gli eventuali reclami dell’utenza. Ma, purtroppo, molti problemi derivano anche dalla maleducazione di coloro che, per esempio, utilizzano i bagni per gli invalidi come magazzini o posteggiano l’auto nei parcheggi per disabili».
Il sociale. Ma questo coriaceo sodalizio si impegna persino al di fuori dei propri confini, segnalando alle circoscrizioni quelle difettosità strutturali che non interessano esclusivamente i paraplegici, ma l’intero tessuto sociale (scuole prive di scale esterne di sicurezza, corrimano assenti e via dicendo). Così come fa funzionare la propria sede dell’ospedale come centro ricettivo per la denuncia del mancato rispetto delle normative. E, in aggiunta, organizza pure sessioni di propaganda sulla prevenzione delle lesioni alla spina dorsale.
Unità spinale. Una diatriba che si trascina da tempo immemore (1986 o giù di lì). Un’unita spinale unipolare è un complesso, raccordato con i servizi d’emergenza ed in particolare con i «trauma centers», in grado di garantire un ricovero tempestivo del soggetto mieloleso, cioè di colui che ha subito un trauma al midollo spinale, e di seguirne poi, durante il ricovero, la completa riabilitazione. Senza un’unita spinale multidisciplinare, il paziente può andare incontro a complicazioni gravissime, come le piaghe da decubito e le calcificazioni articolari. «Dopo anni di lotte - osserva il presidente - abbiamo purtroppo quasi esaurito la speranza di vederne sorgere una a Livorno».
Servizio «auto sostitutiva» ed «auto scuola-guida». Ma ecco la ciliegina sulla torta: negli ultimi anni l’Atp ha dedicato parte del suo operato alla realizzazione del primo «parco auto multi-adattate» d’Italia. Sono state infatti comprate due Fiat Punto e poi modificate con l’innesto di dispositivi di guida per disabili. Due mezzi utilizzati per il servizio di «auto sostitutiva» e per effettuare (grazie alla pedaliera per la scuola-guida localizzata sul lato passeggero) lezioni di pratica in piena sicurezza con personale addetto. Un servizio che permette ai soggetti con disabilità agli arti inferiori e superiori o affetti da gravi patologie (come l’emiplegia, la sclerosi multipla e la distrofia muscolare) di poter continuare a godere della propria libertà individuale. Ma, a causa dei costi onerosi delle assicurazioni, per continuare ad erogare un servizio di tale utilità c’è urgente bisogno della solidarietà della cittadinanza, da veicolare alle seguenti coordinate: CC N° 160223138566 (ABI 6015 - CAB 13905) della Cassa di Risparmi di Livorno, intestato a «Associazione toscana paraplegici sez. Livorno». E tra i progetti futuri? «L’acquisto - rivela Conterio - di un furgone modificato per un progetto di «auto-aiuto», basato sul concetto del disabile che porta in giro altri disabili».

A tutta pigotta per battere il record dello scorso anno

Livorno. A tutta pigotta giovedì scorso nella galleria del palazzo S.Elisabetta di piazza Attias con il lancio dell’oramai consueta iniziativa natalizia di reperimento fondi da parte dell’Unicef attraverso l’offerta al pubblico delle bambole di pezza fatte a mano dai centri sociali, dagli istituti scolastici cittadini e da tutti quei volontari che operano all’insegna della solidarietà. Fondi che andranno a favore della campagna mondiale di vaccinazione; ogni pigotta «adottata» è infatti un bambino che ha la possibilità di vivere e crescere sano. In cooperazione con i ministeri della sanità, l’Unicef è difatti impegnata su larga scala nei programmi di vaccinazione di base contro le malattie più pericolose per i bambini (tubercolosi, poliomielite, tetano, morbillo, pertosse e difterite) e, grazie al suo inossidabile zelo, riesce ogni anno a salvare la vita a circa 3 milioni di piccoli dei paesi più arretrati. Ed è doveroso aggiungere che, laddove sia necessario, al vaccino viene affiancata la somministrazione di capsule di vitamina A: una vitamina essenziale per il funzionamento del sistema immunitario, la cui carenza può provocare la cecità irreversibile. Messa in moto col patrocinio del Comune e in virtù della preziosa collaborazione della Livorno Calcio, dei nidi d’infanzia comunali e privati, delle scuole statali e dei centri sociali (tra i quali il Bruno Cosimi, il Borgo, il Forte S.Pietro, la Fenacom, l’Arci di Collinaia e il Diurno di via S.Gaetano), l’iniziativa ha tutti i presupposti per stracciare il primato locale dello scorso anno (cioè l’equivalente in denaro di 3000 vaccinazioni).
Paola Bachini, presidente del Comitato Provinciale di Livorno per l’Unicef, ha rivelato che «quest’anno le nostre volontarie Unicef, che da gennaio a dicembre lavorano gratuitamente alle pigotte con grande dedizione e maestria, hanno realizzato le bamboline con le maglie amaranto e il giovanissimo Tommaso Eppesteingher ha pitturato sul loro viso le caricature dei calciatori. Insomma, una bella novità». Cristiano Lucarelli, bomber amaranto e testimonial dell’Unicef, ha poi assicurato che «nel 2005 anche noi giocatori, magari con un po’ d’assistenza – specie delle mogli – vedremo di costruire personalmente qualche bella pigotta. Intanto, per quest’anno, in comune accordo, piuttosto che fare i regali ai vari componenti dello staff tecnico e di quello medico, abbiamo deciso di tirare su una cifra da devolvere proprio all’Unicef». Paolo Nacarlo, portavoce della Livorno Calcio, ha inoltre osservato che «come dietro le bambole c’è un grosso lavoro, dietro ai ragazzi della squadra c’è un grande cuore» e Rita Villani, oltre a portare il saluto dell’assessorato alle attività educative, ha messo l’accento su come si siano costruiti intorno al progetto–pigotta degli interessanti approfondimenti didattico–educativi rivolti ai più piccoli. Da non dimenticare, sempre contestualmente all’iniziativa, il rendez–vous di lunedì 13 dicembre presso il Circolo Arci La Rosa organizzato dall’Area Anziani in Movimento: un pomeriggio fatto di mercatini pro–beneficenza e spettacoli di cabaret.

Lamentele dell’utente? Circa 130 all’anno

Livorno. Da anni si battono per il rispetto dei diritti dei degenti in stato di permanente o momentanea difficoltà. E i loro scontri potrebbero dirsi esauriti, se certe garanzie fossero date per scontate, tanto da non dover essere più difese. In realtà, purtroppo, non è così. E, dal momento che le rimostranze in merito a casi più o meno gravi di varia inadempienza sanitaria continuano a pervenire pressoché quotidianamente nella loro sede, è fuori discussione la validità della loro presenza.
Il «Comitato per la difesa dei diritti del malato» è senza dubbio uno dei capisaldi dell’associazionismo solidale livornese. Un caposaldo no profit, che fa parte del movimento nazionale «Cittadinanza attiva» - il cui segretariato è affidato alla signora Teresa Petrangolini - e che è sostenuto, oltreché da alcuni «sponsor» locali che ritengono utile l’attività del tribunale, da cene conviviali organizzate allo scopo di raccogliere fondi. E così, nell’androne principale dell’ospedale (accanto al gazebo per le informazioni), ogni mattina, dal lunedì al venerdì, trenta volontari (decisi a far rispettare dalle istituzioni ospedaliere i diritti degli ammalati), dedicano parte del loro tempo nel prestare orecchio ai reclami più disparati.
«Il «Tribunale dei diritti del malato» - dice Emilio Banchi, ex presidente, attualmente membro del comitato, nonché persona premiata per i propri meriti di cittadino - è nato a Livorno nel 1981, anno in cui fu emessa la prima carta dei diritti del malato, firmata dal sindaco e dalle autorità locali. L’impegno di allora era coordinato da Alfredo Simonini, tuttora collaboratore, che ha dato tanto a questa associazione. Un’associazione nata dall’esigenza d’umanizzare la sanità; e devo dire che, nel tempo, abbiamo ottenuto diverse conquiste in questo campo, soprattutto nel momento in cui i nostri sforzi e la buona volontà delle controparti si sono incontrate».
Nella delicata sfera dei rapporti con le istituzioni, il tribunale, nell’arco di quasi ventidue anni d’attività, ha attraversato fasi più o meno difficili, talvolta molto dure. Fasi di veri e propri scontri con «muri di gomma», nei quali, paradossalmente, finiva con lo scontarne le conseguenze in quanto primo e diretto interlocutore dell’utenza. Quanto mai costruttiva la precisazione di Banchi in merito: «Una volta che arrivano le lamentele - all’incirca centotrenta all’anno - noi non partiamo affatto in quarta, ricorrendo nell’immediato a denunce e quindi considerando l’azione legale quale unica via da percorrere; azione legale che, oltretutto, può spesso comportare l’eventualità di subire una controdenuncia. Perché, se si approda sempre e soltanto a un contenzioso, si finisce per perdere di vista lo scopo fondamentale che ci siamo imposti, e cioè la tutela dell’ammalato. Quindi, teniamo a mantenere un buon rapporto con le istituzioni, sebbene assumendo posizioni talora conflittuali e non lesinando le critiche del caso a chicchessia».
Per questo motivo aggiunge che «la maggioranza delle lamentele hanno un profilo critico-costruttivo non necessariamente disposto allo scontro legale, ma rivolto alla sola e unica soluzione dei problemi attraverso il più democratico dei dialoghi. Perché è nostra convinzione che errare sia umano e che il personale sanitario, appunto formato da uomini e donne, non possa essere infallibile. Chiaramente, se dopo un consulto gratuito con la dottoressa Laura Caroni e, in seguito, col procuratore dei cittadini Marco Cannito - entrambe personalità di spicco del nostro entourage - al malato viene assicurato che l’unica chance per vendicare il torto subito è affidarsi ad un principe del foro, allora si procede per via legale. E non è detto che il soggetto sia costretto a mettere tutto in mano al nostro avvocato: è libero d’appoggiarsi a chi vuole».
Banchi tiene anche a precisare che le associazioni che pullulano nel mondo del volontariato labronico devono lavorare in armonia fianco a fianco, senza astio o rivalità, per dare man forte ai più deboli. «Infatti il cittadino che si ammala - sottolinea - è un debole a tutti gli effetti. E quindi si deve lottare per la tutela dei suoi diritti. Perché di fronte, ad esempio, ad un male incurabile, siamo tutti uguali, senza alcuna distinzione. La nostra voce è dunque in grado di farsi sentire quando purtroppo quella del ricoverato non è più percepibile»

Prestazioni inadeguate e mancati ricoveri: i casi

Livorno. Lamentele à-gogo al «Comitato per la difesa dei diritti del malato». A centinaia. Non tutte schedate (sul registro se ne contano in media centotrenta all’anno) perché risolte con interessamenti immediati e conseguente risoluzione-lampo del problema. Una collezione di rimostranze che spazia da quelle più elementari - si parla di mancati ricoveri o prestazioni specialistiche non fornite - a quelle più complesse, inerenti soprattutto errori diagnostici e terapeutici.
«Un tempo - questa l’osservazione di Banchi - ci si lamentava per il cibo: oggi non più. O almeno questa tendenza è ormai ridotta allo zero. Ma il malato si arrabbia ancora per motivi di mediocrità igienica o perché trattato con educazione discutibile da dottori e infermieri. Per non parlare dei casi più seri riguardanti diagnosi errate o terapie sbagliate. E inoltre, sebbene anche Pisa e Siena abbiano le proprie sedi per la tutela del malato, alcuni vengono persino da queste città per esporci i loro problemi, talvolta lamentandosi non solo degli apparati pubblici, ma persino di quelle cliniche private che vanno per la maggiore».
«Ed effettivamente - rivela - qualche caso è finito in tribunale, quindi qualche assicurazione è stata costretta a pagare. Per motivi di privacy, meglio non fare nomi e cognomi. Ma ricordo, ad esempio, una persona che si rivolse a noi perché la madre, durante il ricovero in ospedale, cadde dal letto a causa della mancata applicazione delle protezioni di contenimento. E, naturalmente, anche noi non siamo immuni dalle lamentele; infatti c’è qualcuno che reclama una nostra maggiore presenza ed incisività. A tale proposito noi possiamo assicurare che, per soddisfare le aspettative del malato, ce la stiamo mettendo proprio tutta. Del resto il nostro servizio è in crescendo».

Riccardo, una battaglia vinta in gara

Livorno. In pista non esistono aggettivi fastidiosi quali «disabile» o «diversamente abile», ma soltanto grinta, concentrazione e tattica. Ci sono la bicicletta, gli avversari e un desiderio di vincere che va oltre ogni inutile apostrofo. E, in special modo, una forza di volontà tale da far sì di migliorare qualsiasi risultato. Con tutti i limiti e gli ostacoli che l’abbracciare uno sport in senso stretto oltretutto comporta. Poiché qui si tratta di persone che non possono purtroppo affacciarsi all’esistenza con estrema disinvoltura.
Riccardo Ferrini, trentacinquenne labronico innamorato del ciclismo, riassume tutto ciò alla lettera. E, naturalmente, interpreta il suo caso umano con la naturalezza del vero campione. «All’età di due anni - racconta Ferrini - mi fu diagnosticata una glomerulonefrìte cronica, ossia una malattia renale di natura infiammatoria. Sino ai primi anni Novanta, la mia vita è stata abbastanza regolare, anche se i problemi di salute connessi alla malattia mi hanno impedito di dedicare al ciclismo - la mia grande passione - tutto l’entusiasmo che coltivavo. Nel 1991, a seguito di alcune complicazioni, sono stato sottoposto a dialisi per diverso tempo, sino a quando mio padre mi ha donato un rene. A un mese dal trapianto si è però verificato il conseguente rigetto e ancora oggi sono costretto ad assumere degli immunosoppressori per evitare il peggio. Anche se questi farmaci, pur tenendo a bada il rene trapiantato, abbassano di gran lunga le mie difese immunitarie, rendendomi assai vulnerabile».
Ciononostante Riccardo è riuscirò ad andare più in là, arrivando dove il cuore fugace della bicicletta accelera in un raid forte e controllato. Il suo temperamento d’autentico fuoriclasse ha preso quindi la via di fuga, tant’è che nel ‘93 e nel ‘94 sono fioccate ben due vittorie consecutive ai campionati italiani di ciclismo per trapiantati, per non parlare del sesto posto ai mondiali canadesi di Vancouver. E non gli è stato negato neppure il piacere d’organizzare un campionato italiano ed alcune manifestazioni ciclistiche per trapiantati a Livorno (tra l’altro in collaborazione col grande amico Roberto Marchesini, purtroppo scomparso un paio d’anni fa).
Alla ricerca d’una dimensione più consona alle sue caratteristiche, nel 1999 ha iniziato a dedicarsi alle gare di «gran fondo» (sino a 100 chilometri e oltre) e nei due anni successivi ha vinto i campionati italiani in questa specialità, prima a San Remo, poi a Savona. «Ma soltanto il 16 settembre di quest’anno - prosegue Ferrini, preso dall’emozione - sono riuscito a coronare un sogno: nella mia categoria ho infatti vinto il campionato del mondo di gran fondo «Carlo D’Apporto» a San Remo. Una gara a dir poco entusiasmante; non per niente il percorso finale è lo stesso della Milano-San Remo per professionisti! Oltretutto in questa stagione ho ottenuto persino due noni posti «assoluti» - ossia contestualmente a quegli atleti che, in sostanza, non hanno nessun problema fisico - nelle gran fondo di Campi Bisenzio e di Lamporecchio. Davvero una gran soddisfazione!».
Contentezza del tutto condivisa dalla compagna Barbara e da una bella bambina di quattro anni di nome Margherita, sue accanite tifose. Che accrescono la sua determinazione e il suo coraggio in un gioco d’empatia positiva che solo nelle migliori famiglie può maturare. E lo assistono mentre s’impegna anima e corpo nelle rituali sedute d’allenamento sui rulli oppure durante le uscite di fondo del sabato con la propria squadra, la «Vespa Bike Cycling Team» di Pontedera. Tutto questo salute permettendo, è ovvio.
«Le gare ciclistiche per trapiantati - questa la sua «volata finale» - al di là dell’agonismo e del divertimento, sono utili per dare risalto alle iniziative di donazione degli organi. Senza contare che l’aspetto agonistico risulta uno stimolo ulteriore per incrementare l’efficacia della maggior parte delle terapie».

Tutti a teatro, in favore di «Emergency»

Livorno. Serata in favore di «Emergency», la nota associazione umanitaria italiana fondata da Gino Strada per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra, quella che si terrà stasera presso il teatro «La Gran Guardia». «Music All - Il musical del III millennio»: questo il titolo dello spettacolo, organizzato dal centro d’aggregazione giovanile «Todo Modo» (a cui va la paternità dell’idea), dal «Ceis Prevenzione Livorno» e dalla compagnia «Music All», in collaborazione col «Cel Teatro di Livorno» e la «Gestione Teatri Lippi».
Patrocinato dal Comune ed appoggiato da varie realtà sociali ed imprenditoriali della città, l’evento vedrà alzarsi il sipario sulla presentazione delle attività umanitarie di «Emergency», seguite poi dallo spettacolo «Music All», un live-medley di brani dei musical più celebri di tutti i tempi, eseguiti da orchestra e cori. Oltre al testimonial di «Emergency», parteciperanno alla serata, direttamente dallo «Zelig» televisivo, il comico labronico Paolo Migone, e una delegazione dell’«As Livorno Calcio», guidata da capitan Igor Protti. L’incasso della serata sarà devoluto a sostegno dell’unità ustionati per adulti di Sulaimaniya, nell’Iraq settentrionale; dunque un contributo concreto, che giunge dritto allo scopo.
«Siamo dalla parte di «Emergency» - ha esordito in conferenza stampa Massimo Talini, presidente del «Cel» - perché questa associazione pone l’uomo, al di là d’ogni diversità di razza e religione, al centro dell’attenzione, allo scopo d’aiutarlo ad attenuare il suo dolore in contingenze critiche come quelle belliche. E, in questa occasione, il teatro ci dà l’opportunità d’utilizzare gli strumenti del dialogo e del confronto per l’approfondimento di questi problemi. Livorno è sempre stata una città solidale e sensibile a queste tematiche, per cui confidiamo nel tutto esaurito».
Per Oreste Apolloni, presidente del «Todo Modo», sarà una festa «per riflettere sulle conseguenze devastanti delle guerre, attraverso una formula artistico-musicale dinamica e d’atmosfera che vuol lanciare un messaggio di pace che fa completamente da contrappunto alle mutilazioni inflitte agli innocenti durante i conflitti», mentre secondo Filippo Capucci, sempre del «Todo Modo», «si tratta d’una iniziativa che vuol far capire che la guerra continua anche quando non è più sotto i riflettori, poiché 110 milioni di mine inesplose disseminate per il mondo sono una realtà più che tangibile».
Paolo Piagneri di «Emergency» ha invece sottolineato il fatto che «ciò che raccontano i media è assai distante dalla guerra in presa diretta, nella quale viene vietato il diritto alla vita e alla dignità umana e, quindi, muoiono e soffrono civili senza alcuna colpa».
A concludere la presentazione dell’iniziativa, l’intervento di Paolo Nacarlo dell’«As Livorno Calcio»: «Non è vero che i calciatori non siano interessati a queste iniziative. Anzi, il mondo calcistico livornese, Protti in primis, è molto sensibile in merito. Se riusciremo, con la nostra presenza, a far venire qualche persona in più, per noi sarà una grossa soddisfazione».

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