Avo, 180 volontari per aiutare i malati

Livorno. In ospedale, passano di letto in letto, sbrigano piccoli servizi, ma soprattutto ascoltano: perché chi è ammalato desidera sempre avere qualcuno che lo consideri prima di tutto una persona, che lo accetti nella sua integrità, che presti orecchio al suo universo interiore e lo accolga così com’è. Dunque: umanità, attenzione ed intelligenza. Virtù peculiari dei volontari Avo (Associazione volontari ospedalieri) che avvicinano il paziente col solo scopo d’offrirgli, gratuitamente e senza alcun interesse personale, affabilità e simpatia.
Il gruppo. Nata a Livorno nell’aprile del 1983 grazie all’impegno accorato d’un pugno di donne (dieci, per l’esattezza), questa associazione adesso può avvalersi dell’operato di circa 180 persone (in tutta Italia se ne contano addirittura 27.000) distribuite in 14 reparti dell’ospedale. Un gruppo che, a tutt’oggi, è presente in diversi comitati etici di rilievo nel campo della tutela del malato, che si rapporta bene con gli altri sodalizi del volontariato livornese e che disegna la propria logistica in due sedi: una al numero 63 di via Verdi (presso la Misericordia) e l’altra in ospedale, a destra dell’atrio principale.
«I nostri volontari - spiega Maria Pace Ferraù, presidente dell’Avo labronica nonché vicepresidente di quella regionale - prestano servizio in orari concordati ad hoc con la Usl per non disturbare il lavoro di medici e paramedici. Non avendone la professionalità e la competenza, in nessun caso sostituiscono il personale ospedaliero, ma hanno il compito di conversare con qualsiasi paziente, ascoltarne i crucci, le angosce, i timori. Infondendo serenità e dimostrandosi distesi nel parlare e riservati in merito alle eventuali confidenze ricevute. Una funzione integrativa che sembra niente. Ma è un niente che, a giudicare dalla risposta dei ricoverati, serve. Perché i dottori e gli infermieri dell’ospedale, pur motivati e pur umani, certamente non hanno il tempo materiale per dedicarsi agli ammalati alla nostra maniera». E aggiunge: «All’inizio, parte dei dipendenti ospedalieri nutriva qualche sospetto sulla natura della nostra presenza; presenza che alcuni scambiavano per inquisitoria. Per fortuna, col tempo si è capito che il nostro fine ultimo è collaborare in senso costruttivo con le istituzioni. Quindi, ora, riusciamo a cooperare generalmente in armonia col personale dell’ospedale. E, oltretutto, siamo ufficialmente riconosciuti dagli enti locali».
Lezioni. Una sinergia sincera, dunque. Nella quale i volontari Avo (collocati in rigorosi organigrammi in cui le squadre hanno alla testa responsabili Doc) regalano almeno un turno settimanale agli ammalati. Chiaramente nei reparti a loro più congeniali, a seconda delle inclinazioni del volontario. E i responsabili delle squadre sono a loro volta coordinati da Pina Di Nardo, altro elemento cardine del gruppo. «Il 14 ottobre - dice la signora Di Nardo - inizieranno i corsi della nostra associazione, che prevedono un ciclo di lezioni informative sull’associazione e formative con l’appoggio di psicologi. Lezioni talvolta arricchite dagli incontri con i medici dell’ospedale, che volentieri intervengono».
I giovani. L’ultima conquista? «Avo giovani», nella quale militano già 10 volontari in verde età. Ma l’Associazione volontari ospedalieri può contare su un bacino di risorse. Che la mettono in luce per serietà e zelo e le permettono, quindi, d’ottenere sostegni dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, dalla Banca d’Italia e dal Comune. Ma anche dalla Misericordia, che le mette a disposizione gratuitamente l’ufficio di via Verdi. Senza dimenticare la quota associativa annuale dei volontari stessi. «Presso il nostro ufficio dell’ospedale - prosegue la Ferraù - agli utenti si forniscono persino informazioni per trovare alberghi e mense a buon mercato. Inoltre, su richiesta, siamo in grado di procurare una lista di persone disposte a seguire i ricoverati di notte, dietro compenso. Persone che, naturalmente, non fanno parte del nostro organigramma: perché nel nostro statuto il prestare servizio a pagamento è incompatibile con la presenza nell’associazione».
Interpreti. Altro fiore all’occhiello dell’Avo è il «servizio interpreti», per quei villeggianti ed extracomunitari che hanno necessità di varia assistenza a seguito di problemi di salute. Poiché, come afferma la presidentessa, «sembra purtroppo che i consolati onorari non siano obbligati a prestare un aiuto del genere». Un servizio estivo, quindi. Perché d’estate ci si muove di più e ci si fa male di più (il pronto soccorso ne sa qualcosa). E chiunque, giustamente, va in ferie: anche il personale dell’azienda ospedaliera. Un contesto nel quale l’utente coltiva il timore di non essere abbastanza tutelato, o almeno così lasciano intendere le diverse lamentele degli ultimi tempi. Ma Maria Pace Ferraù getta acqua sul fuoco: «Forse qualche lamentela è sorta in occasione dell’accorpamento dei reparti, ad esempio pneumologia con nefrologia. Del resto l’ospedale, al momento, è in fermento per i lavori di ristrutturazione. Che, di sicuro, daranno buoni frutti. Bisognerebbe sempre coltivare buona fede».

Libertas, sei giorni di un grande torneo

Livorno. Sei giornate a tutto tennis internazionale dal 30 agosto al 4 settembre presso il circolo Libertas Sport di via dei Condotti Vecchi. Martedì prossimo si aprirà infatti il 10° torneo di tennis su sedia a rotelle «Inail–Città di Livorno», organizzato dall’associazione Sport Insieme Livorno (Sil) e sostenuto finanziariamente da una cordata di partner privati e istituzionali. Una kermesse che vedrà fronteggiarsi fuoriclasse – oltre che italiani – provenienti da Australia, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Svezia e Svizzera. In altri termini, una manifestazione che ha acceso a Livorno un faro sportivo–solidaristico d’alto livello, alla quale spetta non solo la corona d’alloro a livello italiano, ma che si è conquistata il merito di figurare tra i primi 10 tornei di settore più importanti del mondo. «Quest’iniziativa dà prestigio alla città e rappresenta una ulteriore prova della nostra apertura ai rapporti internazionali e alla solidarietà» ha infatti osservato il presidente della Provincia Kutufà durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento, che si è tenuta ieri nei locali del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo. «L’Inail – ha spiegato poi Del Nero, neo–direttore dell’Inail livornese – ha una mission aziendale che la porta ad occuparsi, nei casi d’invalidità, anche del reinserimento del lavoratore. Molto importante, nei casi di reinserimento, è la leva motivazionale. E lo sport è una leva motivazionale eccezionale. Credo quindi che l’attività del Sil possa fare da traino per tutti gli altri attori del sistema sociale, istituzionale e imprenditoriale». D’Alesio, assessore comunale alle politiche dello sport, ha messo successivamente l’accento sulla grande vitalità del settore sportivo cittadino e sul ritorno socio–culturale che ne scaturisce. In seguito Santini dell’Anmil ha sottolineato che «lo sport è un forte stimolo al recupero dei danni fisici e psicologici per tutti i diversamente abili», mentre Calderini del Coni provinciale è intervenuto soffermandosi sul «momento educativo che passa attraverso lo strumento sport, che è oggi uno degli strumenti più importanti sul quale occorre lavorare con la stessa intensità con cui lavoriamo insieme su altri binari». A ruota Gini della Cooperativa Libertas Sport, che ha portato il messaggio del presidente Heusch, per il quale in questi anni è stato motivo d’orgoglio «aver offerto a Livorno un’altra occasione d’essere ricordata per l’ospitalità e l’accoglienza che sa riservare ai cittadini del mondo». Poi è stato il turno di Rigolo, presidente di Sport Insieme Livorno: «Il nostro impegno e il nostro entusiasmo sono mirati soprattutto a fare da cassa di risonanza e, quindi, richiamare l’attenzione delle istituzioni affinché rendano la nostra città sempre più accessibile a tutti». «Quest’anno – ha inoltre aggiunto Franchi del Sil – è stata devoluta alla nostra associazione anche una somma raccolta dalla famiglia e dagli amici di Nicola Chimenti, sportivo 20enne scomparso di recente in un incidente stradale. Una donazione che verrà utilizzata come contributo per la manifestazione; perciò cogliamo l’occasione per ringraziare».

I numeri della manifestazione

Livorno. I tennisti più forti della classifica mondiale che si daranno del filo da torcere sui 12 campi del circolo Libertas Sport sono 80 (65 uomini e 15 donne), per ciascuno dei quali si spenderanno circa 1.200 euro per l’intera permanenza in città. Mentre 3 saranno le categorie di gioco, vale a dire uomini, donne e quad (tetraplegici). Il montepremi (15mila dollari) verrà conteso tra atleti che gareggeranno su carrozzine speciali, il cui costo oscilla tra i 3mila e i 7mila euro. Il programma vedrà inoltre disputarsi ben 140 partite, distribuite in 6 giornate. E 60 sono i volontari che scenderanno in campo per continuare a far sì che il torneo livornese rimanga il più importante della penisola.

Arte, musica e soggiorni estivi

Livorno. Che la solidarietà debba erigere le sue fondamenta sopra l’altruistica fertilità d’un rapporto a doppio senso di marcia - ovverosia sul dare e ricevere - è cosa manifestamente incontrovertibile. Poiché ogni forma d’appoggio donata a un ragazzo disabile non è terapeutica soltanto per l’interessato ma, senza ombra di dubbio, altresì per il volontario che ha avuto il cuore d’orchestrarla, in barba al piatto menefreghismo dilagante.
Dopo un’esperienza di questa levatura, l’occhiata rivolta ad una carrozzella s’impreziosisce d’un valore aggiunto impressionante, che permette di scansare la velina della perplessità e arricchirsi di tutta la palpitante umanità racchiusa in un animo, suo malgrado, sfortunato. Preambolo dal quale prendono le mosse le diverse attività del «Volontariato della Commissione Caritas per l’Handicap» di via Liverani, una delle diramazioni della Caritas Diocesana, associazione attivissima e polivalente che oltretutto si occupa del Terzo Mondo, dei tossicodipendenti, dei carcerati, dei settori a rischio e via dicendo.
«Il giovedì e il sabato - esordisce l’ingegner Marco Massei, da circa un anno e mezzo responsabile della struttura di Villa Liverani - organizziamo delle attività pomeridiane nelle quali una trentina di ragazzi disabili, che non hanno inserimenti professionali, interagiscono con i giovani volontari - circa sessanta e dell’età media di poco più di vent’anni - facendo musica, esercizio teatrale ed esprimendo la propria creatività manuale. Un’occasione per stare insieme e fare qualche ora di garbata baldoria tra amici».
Ma il fiore all’occhiello delle iniziative promosse dal gruppo della Caritas per l’Handicap è il soggiorno estivo che si svolge a Castiglioncello, Rosignano e Vada, in programma nelle ultime tre settimane di luglio, che coinvolge in tutto una quarantina di disabili e ben centoventi volontari. «Una volta all’anno - prosegue il responsabile con l’entusiasmo tipicamente innato di coloro che credono in ciò che fanno con straordinaria convinzione - andiamo in vacanza al mare. Ogni giorno delle tre settimane pianificate facciamo il giro della città col pullman e con i «pollicini» per prelevare da casa i ragazzi. Quasi tutte le strutture balneari alle quali ci rivolgiamo ci fanno entrare senza pagare e, per quanto riguarda il pranzo, ammortizziamo i costi andando a mangiare alla mensa di Rosignano. Poi, in serata, torniamo a casa. In merito alle spese, si usufruisce dei contributi del Comune - che, per questa attività, mette a disposizione circa cinquecentomila lire a ragazzo - e, chiaramente, della Caritas stessa: ma, in sostanza, il nostro impegno è rivolto nell’essere più autosufficienti possibile. A meno che non vi sia la necessità d’una spesa importante e vitale per la continuità del nostro operato; allora cerchiamo di raccogliere fondi mediante iniziative di vario genere, come la partecipazione a «Magenta in strada», volta a farci un po’ di pubblicità, e l’incontro calcistico dello scorso anno che noi volontari abbiamo disputato sul campo di Banditella contro la squadra del «Livorno Calcio». Una bella festa, un evento esaltante, soprattutto per la vivace partecipazione e la gentile complicità del Livorno».
Cene di gruppo, appuntamenti al cinema, gite in varie città d’Italia: di certo questa struttura non difetta di ricchezza d’idee, di cordiale disponibilità e soprattutto di quel dinamismo costruttivo che fornisce energia pulsante al contraccambio di emozioni. «Vivere l’handicap come si vive qui - questa l’osservazione di Massei - è assai diverso dall’osservarlo dal di fuori. Avvicinandosi a questo mondo si possono vedere le cose da un’angolazione completamente differente. Quindici anni fa, quando ho iniziato a fare volontariato, persino io non ero del tutto convinto di quello che stavo facendo, perché spesso si hanno delle remore ad affacciarsi alla sfera esistenziale dei disabili. I quali, invece, con la loro spontaneità immediata, non hanno incertezze e ci fanno sentire all’istante a nostro agio. Ciò che c’è da guadagnare in un simile scambio di calore umano non ha prezzo, ha un valore inestimabile».

Un faro per le famiglie, grazie Edda

Livorno. All’indomani della scomparsa di Edda Fagni, avvenuta nel ‘96, Monsignor Alberto Ablondi, allora Vescovo di Livorno, scriveva: «Sono sempre più convinto che, nella vita, ognuno può portare tanti fiori e frutti, ma soprattutto spargere dei semi che fioriscono a distanza, anche dopo che si è creata la lontananza fra questa e l’altra vita». Ebbene, il seme coltivato da Edda è diventato un albero dai frutti multivitaminici. Il figlio delle sue idee, portato giustamente all’attenzione dai suoi familiari, si chiama infatti «Ciaf», ovverosia «Centro infanzia, adolescenza e famiglie», ha sede in via Caduti del Lavoro e, naturalmente, porta il suo nome.
Nel realizzare sul territorio i «Centri infanzia, adolescenza e famiglie», la Regione Toscana (deliberazione N°162 del Consiglio Regionale del 18/3/1992) ha individuato lo strumento «per lo sviluppo di una politica per l’infanzia e per l’adolescenza, in una visione complessiva che si rivolga al bambino come portatore di diritti, soggetto di un’ampia sfera di protezione che ne rassicuri un’armonica crescita psicofisica nella propria famiglia e nella comunità». Logico quindi che, per via della sua poderosa esperienza pedagogica e politica, il «Ciaf» livornese sia stato dedicato a Edda Fagni.
Donna eccezionale. Perché Edda era una donna eccezionale. Impegnata nel sociale, soprattutto nei confronti dei giovani, accanto a lei il senso del vivere si dilatava, pareva un attimo preso in prestito dall’eternità in cui niente si rivelava insignificante. Maestra elementare nelle scuole del livornese (anche in quelle «speciali»), docente all’Università di Firenze, attiva nella Cgil, a Livorno assessore all’istruzione e alla cultura, parlamentare per il Pci, senatrice sotto l’insegna di Rifondazione Comunista e altro ancora: insomma, un curriculum vitae sbalorditivo. Il Sindaco Gianfranco Lamberti, nel giorno dell’estremo saluto a questa livornese indimenticabile, annunciò con commozione che presto in città sarebbe nata una nuova struttura, intitolata proprio alla senatrice scomparsa. Più tardi, nel 2000, grazie a un accordo siglato tra Regione, Provincia e Comune, Livorno poté infatti inaugurare il suo «Ciaf». Venuto su laddove in precedenza sorgeva un’istituzione che un tempo ospitava bambini illegittimi o in difficoltà (l’«Ippai», ossia l’«Istituto provinciale protezione e assistenza all’infanzia») e perciò concepito come suo step evolutivo per rispondere a politiche sociali più estese, oggi questo centro accogliente e multifunzionale può essere considerato come uno dei fiori all’occhiello di Livorno, poiché pare avere la classica marcia in più rispetto agli altri «Ciaf» della Toscana.
La pedagogia. Il «Ciaf» labronico dipende dall’«Area 3», cioè da quel settore del Comune - diretto da Serenella Frangilli - che si muove nell’ambito dello sviluppo socio-culturale. Luogo di politica integrata tra soggetti pubblici e privati e nodo «agevolatore» della rete dei servizi socio-educativi, il «Ciaf» si propone di individuare strategie per lo sviluppo della politica complessiva per l’infanzia, l’adolescenza e le famiglie. Inoltre, si impegna nel concretizzare gli intenti previsti dalla Legge N°285/97, al fine di promuovere la qualità della vita, la realizzazione individuale e la socializzazione dei minori e delle loro famiglie, siano esse naturali, adottive o affidatarie. In sostanza, la pedagogia (vale a dire quella disciplina che si occupa delle problematiche dell’educazione) intesa come «focus». Ovvero un’azione non più «assistenziale», bensì «educativa». Promuovere l’agio a scopo preventivo, affinché il disagio non prenda piede. E pur tuttavia senza dimenticarsi di chi si trova in difficoltà.
Quelle idee. Serenella Cipolli, responsabile del Ciaf «Edda Fagni», osserva che «il saper coniugare le conoscenze di pedagogista con l’esperienza di amministratore, permise a Edda di coltivare delle idee che oggi, grazie all’amministrazione comunale, abbiamo potuto tradurre in realtà, dando vita ad una «struttura agevolatrice», per certi versi, unica. Basti pensare al fatto che l’amministrazione sia riuscita a sollecitare la scuola ad entrare nel sistema degli «sportelli di ascolto»; un’esperienza che, a quanto ne so, non ha precedenti». Con il «Ciaf», dunque, l’organismo comunale non soltanto fornisce il servizio, ma si fa pure carico della qualità delle relazioni sociali dei propri cittadini, a partire dalla scuola. Concetto al quale, in largo anticipo sui tempi, Edda e i propri collaboratori lavorarono già verso la fine degli anni ‘70. Infatti, secondo Mauro Pardini, psicopedagogista del Comune, «i nostri servizi si sono sviluppati sulla base dell’«insegnamento come animazione», che adottavamo nelle scuole «speciali» già nel ‘78. Difatti «animazione» vuol dire fornire gli strumenti al bambino, accettandolo così come è, affinché lui possa muoversi da solo; il che, rispetto ad una scuola tradizionale di trasmissione di contenuti, rappresenta un rovesciamento totale. Ma «animazione» significa anche coinvolgere chi sul territorio è in grado di mettere in pratica un tale metodo d’istruzione, perché la scuola non si ritrovi da sola nell’esercitare la propria funzione». Per Odette Volpi, vicepresidente della «Svs» e amica intima di Edda, «è fondamentale sottolineare come le intuizioni pedagogico-educative di Edda Fagni abbiano lasciato il segno e siano state riprese, arricchite e ricollocate storicamente. Ed è pure da rilevare il fatto che questo progetto sia maturato lungo un percorso silenzioso, fatto di modestia e umiltà; in altre parole, proprio alla maniera di Edda».
«Fare sistema». Per il «Ciaf» labronico è vitale «fare sistema», cioè unire le forze e agire insieme per il bene comune. In questa direzione, il centro svolge la funzione di «convogliatore». O, più propriamente, di «agevolatore» tra le parti coinvolte nei programmi, siano esse pubbliche o private. Davvero parecchi e variegati sono i progetti e i laboratori partoriti da questa eccellente soluzione istituzionale. Soluzione che sostiene la «funzione genitoriale» mediante strategie d’intervento psicopedagogico basate sulla relazione (da evidenziare, in merito, il sito Internet «Informafamiglie» e il progetto «Genitori/Insegnanti in rete», che favorisce la cooperazione tra scuola e famiglia); che forma operatori in ambito socio-educativo per azioni integrate, soprattutto attraverso metodi mirati a sviluppare la capacità di ascolto (di spicco, il laboratorio per studenti «Progettare con/per le famiglie: esperienze del Ciaf di Livorno», nato dalla collaborazione con la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Firenze); che, sempre in campo socio-educativo, si impegna nel formare nuovi quadri professionali per rispondere a bisogni emergenti e diversificati (in questo caso, il corso di qualifica per «Agevolatore nella relazione d’aiuto» la fa da padrone); e che, infine, diffonde la cultura dei diritti dei bambini e delle bambine (di rilievo, «Spazi di ascolto per gli adolescenti a scuola/Prospettive teoriche e strumenti operativi per insegnanti», che prevede sportelli di ascolto nelle scuole). L’ultimo nato? «Sotto un cielo di emozioni», un progetto che parte dall’idea di aprire le basi emotive della comunicazione tra adulti e minori, nella convinzione che la consapevolezza emotiva renda il comunicare più efficace.
Un piccolo-grande universo. Pallottoliere alla mano, a tutt’oggi il Ciaf «Edda Fagni» può vantare di aver promosso l’attivazione e di aver «portato a sistema» 12 sportelli scolastici di ascolto e 65 operatori formati e distribuiti sul suolo cittadino, che si muovono in favore di tutti gli alunni, dai 6 anni in su, della scuola dell’obbligo di Livorno. I laboratori sono 9 e i corsi, in virtù dei finanziamenti della Regione, della Provincia e del Comune, sono gratuiti e tenuti dai migliori specialisti su scala nazionale. Nell’immobile dove si trova il «Ciaf» hanno sede anche l’asilo nido «Il bruco», la scuola comunale per l’infanzia «Franchi», il ludonido «Il piccolo principe», la casa di accoglienza «Il melo», la sede della «Consulta minori», l’ufficio del Ministero della Giustizia per il «Servizio sociale minorenni», il «Centro affidamento familiare», le aule per i laboratori per i minori e i genitori, la biblioteca, la sala riunioni, la sala colloqui, gli uffici amministrativi, gli uffici delle responsabili delle case-famiglia per minori e della casa di accoglienza. Nel parco della struttura è inoltre aperta al pubblico l’area verde «Il giardino delle meraviglie».

Un futuro anche in carcere

Livorno. «Dentro non tutti sono colpevoli; così come, fuori, non tutti sono innocenti». Parole amare, asciutte, fin troppo vere. Parole di un recluso d’una casa circondariale del livornese che, alla stregua d’un pugno nello stomaco, scaraventano il nostro pensiero all’interno d’un microcosmo durissimo, dal quale troppo spesso torciamo lo sguardo, facendo finta che non esista. Un universo in miniatura che si chiama carcere, nel quale ogni essere umano viene etichettato come criminale, scivola nel dramma e viene poi straziato. E dopo aver scontato la pena? Perché la vita continua, anche per un ex detenuto.
«Dopo il carcere, cosa?», questo appunto il titolo - e, soprattutto, l’oggetto del contendere - del convegno che si è svolto presso il Chiostro della Madonna di via delle Galere. Un meeting promosso dalle cooperative «Le arti» ed «Ergon» in collaborazione col Comune di Livorno, la Diocesi, l’Autorità Portuale e l’Arci labronico. Due piccole cooperative sociali - «Le arti» e la «Ergon» - che si pongono in primis la questione del dopo-carcere, periodo in cui all’assenza di un’occupazione troppo spesso segue la ricaduta. Per contrastare la quale questi nuclei di recupero si impegnano a fornire lavoro, principalmente nel campo edilizio, per dare a tutti i detenuti una maggiore e migliore possibilità d’impiego.
«A mio avviso, condannare qualcuno ad una pena - questa l’opinione di Marco Solimano, presidente dell’Arci di Livorno - non vuol dire privarlo della propria dimensione emotiva ed affettiva. Che, invece, dal sistema carcerario è di continuo violata e, in sostanza, negata. Come possiamo pensare che queste persone, questi cittadini che vivono isolati, umiliati, e pieni di rancore e disillusione, siano poi particolarmente disposti ad intraprendere un percorso di reinserimento sociale? Da ciò si evince che il post-pena deve iniziare necessariamente durante la pena stessa».
Con Solimano, alternandosi in una scaletta durata l’intera giornata, Diego Coletti, Vescovo di Livorno, Angelo Passaleva, vicepresidente della Regione Toscana, Alfio Baldi, assessore comunale, Alessandro Margara, ex direttore del dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, Carlo Mazzerbo, direttore della casa di reclusione di Gorgona, Paola Boni, magistrato di sorveglianza di Livorno, Maria Grazia Grazioso, direttrice della casa circondariale fiorentina «Mario Gozzini», Salvatore Nasca, direttore del centro servizi sociali per adulti del Ministero della Giustizia, Paolo Nanni, assessore provinciale, Ugo De Carlo, giudice del tribunale livornese, e Rinaldo Merani, gip ed ex magistrato di sorveglianza di Livorno.
«Ringrazio tutti gli intervenuti - ha detto Andrea Santiglia, vicepresidente della cooperativa «Le arti» - sebbene sia costretto ad osservare che le istituzioni, in determinate tappe dell’iter di reinserimento degli ex detenuti, non fanno sentire la loro presenza. Nel vuoto che segue il periodo d’assistenza sociale, si è introdotta pertanto la cooperativa». «Al di là di questo - ha aggiunto - in futuro abbiamo in mente d’edificare un’azienda agricola. Perciò confidiamo nelle istituzioni affinché continuino ad appoggiarci come hanno fatto finora».

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