Il cinema horror griffato

Livorno. Venerdì sera al Kino Dessé, per il ciclo «Un bicchiere di vino rosso con...» – serie d’incontri con gli autori nell’ambito del Joe D’Amato Horror Festival – tra una fetta di prosciutto e  qualche conviviale alzata di gomito si è parlato di cinema col regista Claudio Fragasso. Professionista molto quotato, Fragasso partì sul finire degli anni Settanta con pellicole d’autore sperimentali – dei super 8 autoprodotti di stampo cinematografico post–sessantottino – per poi passare al cinema di genere, collaborando con autori come Joe D’Amato e Bruno Mattei e sfornando film horror in quantità. Sua, infatti, la firma di «Monster dog», «After death», «Zombi 3», «La casa 5» e di tanti altri splatter che, a cavallo degli anni ‘80, spopolarono, letteralmente. In seguito, iniziò a girare polizieschi molto «tosti», il più famoso dei quali «Palermo–Milano solo andata», caratterizzato da un successo clamoroso al passaggio televisivo. Ma adesso il suo percorso artistico lo ha riportato agli anni ‘70, con un giallo dal titolo «Concorso di colpa», che è stato proiettato venerdì al Kino Dessé in anteprima nazionale. Un film che si muove sullo sfondo degli «anni di piombo», interpretato da Francesco Nuti e Alessandro Benvenuti. Nel quale Nuti, dopo aver attraversato un lungo periodo di disagio, si è finalmente potuto riscattare con un’interpretazione drammatica di rilievo. La prossima fatica del regista romano? «Uccidimi», un thriller ancora top secret con un cast internazionale da urlo.
Grande assente della serata la star Francesco Nuti, che ha dato forfait per impegni di lavoro inderogabili. Tutta la scena è stata dunque per Fragasso, che ha esordito ricordando D’Amato (Massaccesi) quale «artista geniale e di grande umanità, un «cinematografaro» professionalmente completo, che riusciva a fare film impensabili in pochissimo tempo e con pochissimi soldi». Al che ha messo l’accento sul fatto sconcertante che Massaccesi, bistrattato per anni, è stato purtroppo riportato in auge soltanto dopo la sua scomparsa: «Non voglio essere riabilitato da morto anch’io!», ha tuonato Fragasso, tra il polemico e l’ironico. Poi l’autore ha osservato che «un regista di genere è artista quanto quello che fa cinema minimalista, solo che non se la canta e non se la mena come quest’ultimo». Ed ha concluso l’incontro rivolgendosi ai giovani filmakers presenti in sala: «Sfondare nel cinema, ragazzi, non è complesso, ma molto di più. Voi, innanzitutto, dovete essere sicuri che quella della cinematografia è davvero la vostra strada. E poi dovete venire a Roma, altrimenti non combinate niente».

Quel comico tragico dentro

Livorno. «Credo che si riesca a far ridere solo se si è anche un pochino tragici». Beh, per sviscerare uno degli artisti di punta di «Striscia la Notizia», vale a dire lo «pseudo-Valentino» per eccellenza Dario Ballantini, riflettendo su questa affermazione tipicamente «chapliniana» siamo davvero sulla pista buona. Un sentiero - se vogliamo - piuttosto tortuoso, che conduce ad un uomo dello show-business che dentro non è per niente come appare sul piccolo schermo. Tanto fulminante in televisione, quanto macerato nella vita, per via d’un surplus di sensibilità, talvolta empatica, che lo costringe a riflettere parecchio su ogni «inciampo» dell’esistenza. L’unica via di fuga? La pittura, l’altra faccia del re delle risate, la sua passione «notturna». Una passione in cui traspare un velo di tristezza, che scaturisce dalla «solitudine dell’essere umano davanti al prorompere del progresso».
Questo è emerso venerdì sera all’ippodromo «Caprilli» durante l’incontro, patrocinato dal Comune e curato dall’associazione culturale «La Caprillina», col trasformista livornese di fama nazionale Dario Ballantini, dopo 21 anni di carriera finalmente in controluce fra la gente della sua città. Nel salottino «alla Maurizio Costanzo» allestito per l’occasione, l’istrionico Ballantini ha risposto, non senza vis comica, alle domande-fiume del conduttore Beppe Ranucci e della valletta «esteticamente fruibile» Valentina la Velina (solo un nome d’arte, ciononostante assai gradevole). Ed ha raccontato della folgorazione avuta da bambino assistendo in quel di Pisa ad uno spettacolo del grande Alighiero Noschese, di come i compagni di scuola lo incoraggiassero a farsi strada nel mondo dello spettacolo dato il suo straordinario talento nell’imitare i professori, dei primi timidi passi artistici in una trasmissione di «Radio Flash», della voglia di riscattare il destino della famiglia, composta da fior d’artisti che tuttavia non erano mai riusciti, come si dice in gergo televisivo, a «bucare»: insomma, principalmente, di 16 anni di gavetta durissima, costanza a non finire e porte sbattute in faccia. Ma, nel ‘94, ecco che viene dato a Cesare quel che è di Cesare: dopo aver contattato Antonio Ricci, Dario compare su «Striscia». Qualche altro annetto «sul chi va là» e poi, nata da un’intuizione dello stesso Ricci, nel 1997, se Dio vuole, s’impone al grande pubblico l’imitazione dello stilista Valentino con le sue strampalate incursioni. E fioccano - udite, udite - i complimenti di Pieraccioni, Grillo e Celentano. Da lì, in caduta libera, tutti gli altri personaggi, che Dario non soltanto sa imitare, ma anche far rivivere nell’improvvisazione e arricchire di contorni comici e ironici, in virtù della propria mimica facciale e della truccatrice Mariangela Palatini, che ha lavorato a Hollywood. Da sottolineare che, in questi anni, in pochi non hanno gradito le sue sganascianti maschere: lo stesso Valentino, senza dubbio personalità potente, non lo ha affatto intralciato. Un aneddoto curioso? Scambiato per il vero Nanni Moretti, è stato annunciato in pompa magna al «Festival di Cannes»: svelato l’arcano, è stato però bandito a vita dalla kermesse.
Non sono mancate, inoltre, le domande «birichine»: «Imitare Berlusconi? Devo dire che l’idea non mi stimola», ha risposto Dario, tra il serio e il faceto. «Fino ad ora a «Striscia la Notizia» - ha ammesso - non abbiamo avvertito censura. Dopotutto «Striscia» è un’oasi felice, ha sempre goduto d’ampia libertà. Perché? Ma perché fa record d’ascolto, è un fiore all’occhiello di Mediaset. Speriamo che, anche dopo la crisi dell’ultima stagione, le cose restino tali e quali».

Dal Vernacoliere a Striscia la Notizia

Livorno. Satira padrona del sabato sera al Nuovo Teatro delle Commedie di via Terreni: «Da Striscia a Striscia», questo il titolo dell’incontro col livornese David Lubrano, autore d’alcuni tra i format televisivi più seguiti degli ultimi tempi - come «Striscia la Notizia» - ed estrosa testa di serie del mensile labronico «II Vernacoliere». Terzo appuntamento della rassegna «Livorno incontra i suoi artisti» di Portofranco, questo piacevolissimo faccia a faccia tra il pubblico e il creatore del placido «Bonjo, cane da sniffo». Una performance di vignette dissacranti in diretta, riflessioni ed osservazioni sul mestiere dell’autore, aneddoti raccontati in tandem con uno degli amici di sempre intervenuto per l’occasione: vale a dire il grande Bobo Rondelli.
Nato a Livorno nel 1966, Lubrano regala i propri natali satirici alle pagine del «Vernacoliere» quale graffiante vignettista. Nel ‘92, grazie alla chiamata di Max Greggio - l’altro autore di punta del periodico di Mario Cardinali nonché di «Striscia» - viene accolto alla corte di Antonio Ricci, lavorando sino al 2000 a tutte le edizioni di «Striscia la Notizia» e «Paperissima». Dal ‘95 scrive per Giorgio Panariello, con cui firma diverse esperienze dalla riuscita eccellente, tra le quali «Torno Sabato». Nel contempo continua l’attività di fumettista, pubblicando - oltre che sul «Vernacoliere» - anche per le riviste «Totem», «Boxer» e per l’agenda «Smemoranda», ed esponendo in occasione di svariate edizioni del «Premio di Satira Politica di Forte dei Marmi».
«Dal momento che in Italia il campo del fumetto non è per niente remunerativo - naturalmente schietto l’esordio dell’artista - dovendo pur mangiare e non essendo affatto propenso a recitare quell’ignobile farsa che è il mestiere dell’avvocato, mi sono dovuto riciclare come autore, come d’altronde fa la maggior parte dei vignettisti».
Ma in che cosa consiste la professione dell’autore? «La giornata «tipo» degli autori di «Striscia la Notizia» - spiega Lubrano - è sostanzialmente da «reclusi», poiché si vive in un residence di «Milano 2» dove, aprendo la finestra dell’appartamento, si può addirittura scorgere chi è arrivato in ufficio. Alle 11:30 circa si inizia a lavorare cercando di capire, attraverso la lettura delle testate giornalistiche e la visione dei telegiornali, quali siano le notizie più importanti della giornata. Quindi viene indetta una riunione nella quale si decide che cosa andrà in onda in serata: si procede, poi, alla scrittura al volo dei pezzi e delle battute più salienti e, inoltre, si eseguono i doppiaggi dei filmati. E tutto questo in fretta e furia, perché alle 20:30 c’è la diretta».
E quanto pesa l’influenza di Silvio Berlusconi nella programmazione Mediaset? «Durante la collaborazione con Antonio Ricci - precisa - non ci sono stati problemi. Certo: le reti sono di proprietà di Berlusconi, quindi non si può andare oltre un certo limite. Comunque, a «Striscia» ognuno è libero di professare la propria ideologia, anche se non in linea con quella dell’editore». «Al momento - dice in conclusione David Lubrano - ho appena terminato di collaborare con la «Premiata Ditta» per «Telematti» e spero di proseguire questo sodalizio nei loro prossimi format. Inoltre, ho in cantiere un nuovo progetto da sviluppare con Paolo Migone, comico livornese di «Zelig». Ma il mio sogno nel cassetto rimane quello d’ideare una trasmissione tutta mia».

Ragazzi, vi spiego «Benneide»

Livorno. Un botta e risposta all’insegna dell’ironia e del sarcasmo quello che mercoledì pomeriggio ha scaldato la platea del Goldoni. Da una parte gli studenti delle scuole cittadine coinvolte nel percorso di educazione al linguaggio teatrale del «Cel Teatro di Livorno». Dall’altra Stefano Benni ed Angela Finocchiaro, rispettivamente autore ed interprete dello spettacolo «Benneide», andato in scena in serata, che ha visto sul palco una «Alice stralunata e stupita» compiere un viaggio nel nostro «Paese dei Meravigliosi Orrori».
Un incontro legato al cartellone di prosa «Vizi e Virtù - Appuntamenti con la storia contemporanea», realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno e mediato dal giornalista Luca Salvetti, che ha saputo legare con un filo sottile le tante ed acute domande formulate dal giovanissimo pubblico. Per lo più all’indirizzo del giornalista e scrittore Stefano Benni che innanzitutto, incalzato dal conduttore, ha confessato d’essere un profondo estimatore del giornalista Bruno Vespa; querele a parte, naturalmente. E poi ha raccontato l’inizio del sodalizio con l’attrice Angela Finocchiaro, per lui la migliore nel suo genere sulla piazza italiana: «Ho visto «Angiolina» recitare ed ho realizzato che mi sarebbe piaciuto parecchio farle interpretare un mio testo. Quindi ho fatto presente la cosa a lei, che ha accettato».
Una collaborazione molto apprezzata dalla simpatica e talentosa interprete di «Benneide», soprattutto per via delle radici drammatiche contenute negli scritti di Benni, «il quale, partendo da un nodo di disagio, propone situazioni cariche di drammaticità, ma anche di forte ironia».
Il ping-pong con la platea è stato dunque giocato attraverso un’alternanza di battute gustose e questioni più serie legate al mestiere d’entrambi gli artisti. Benni ha espresso il suo personale ed agghiacciante sgomento all’udire sia l’aggettivo «carino», specie se rivolto alle proprie opere, sia le risate di plastica - quelle registrate - della televisione, mezzo di comunicazione che negli ultimi anni, secondo l’autore, si è immiserito, è divenuto obsoleto, perdendo inevitabilmente terreno. E inoltre, dato che in verde età ha calcato il manto verde come ala destra, ha pure augurato con tutto il cuore la serie «A» alla  squadra  amaranto (probabilmente per un bel derby col Bologna), provocando negli astanti una baruffa di giustificati gesti scaramantici. La Finocchiaro, dal canto suo, ha lanciato il suo anatema contro i «Ddt» (i «Drogati da telefonino»), ed ha rivelato l’estrema difficoltà di lavorare a «Zelig»: «Uno, due, battuta. Uno, due, battuta. E, se non viene sempre giù la sala, ti tagliano».

Brass, il regista tra eros e censura

Livorno. «La fama di «scandaloso» non mi dispiace affatto. Perché lo scandalo è l’elemento chiave del surrealismo, dal quale prendo le mosse; dando uno scossone per ottenere dagli spettatori una partecipazione dialetticamente più attiva, si fa scandalo. E questo per rivoluzionare i contesti decrepiti, per rompere le situazioni morte. Ma, nel tentativo d’approdare a un «mondo nuovo», si deve andare innanzitutto alla ricerca dell’«uomo nuovo», ossia dell’uomo diverso, cambiato. E come cambia l’uomo? Per prima cosa, facendo i conti con se stesso, cioè con la propria sessualità».
Chi è che parla? Ma è proprio lui: Tinto Brass. Ospite dell’incontro che si è tenuto ieri presso il cinema Odeon, organizzato in tandem dalla GTL (Gestione Teatri Lippi) e dall’associazione cinematografica «Nido dei Cuculo».
Tinto Brass è il massimo dell’ironia: quando strizza l’occhio all’erotismo, trasgredisce, si diverte e fa parlare di sé. Sempre pronto, con i suoi «cul-movies» (per inciso: la «t» non difetta per involontario errore di battitura), a stendere il pubblico, a stupirlo piacevolmente e, quindi, a far man bassa di consensi. Da cinefilo Doc conosce la storia del cinema e perciò ama molto citare e rivisitare. Ma sempre in accordo col suo pensiero assai piccante, notoriamente attratto da quella «cosetta lì». Per questo chi si gusta un suo film è di solito colto dall’amletico dubbio: era senza mutande? No, purtroppo le aveva! E dunque, manco a farlo apposta, a fare la figura dei maliziosi sono coloro che hanno pensato male, non lui che ha appoggiato innocentemente la macchina da presa a terra. Guarda caso, puntandola con precisione balistica sotto la gonna della damigella di turno...
Pornografia? No, niente di tutto questo. «La differenza sostanziale tra pornografia ed erotismo - spiega - è sicuramente il linguaggio. Infatti, la prima riporta il fatto in se stesso, senza mediazione estetica o espressiva. Mentre l’erotismo si fa forza sul modo - ossia le luci, le inquadrature, le battute, il montaggio - col quale viene rappresentato il fatto. Trasgredire premeditatamente? No, non lo faccio apposta. Capita, girando, che mi vengano in mente delle cose. E tutto viene poi da sé».
«La censura - ha sottolineato - non potrà mai essere abolita. Può cambiare, ma non scomparire. Adesso è diversa rispetto al passato. Prima colpiva principalmente l’ideologia o il pensiero politico. Ora si è ristretta all’offesa al «comune senso del pudore». E, soprattutto, tiene molto in considerazione il futuro passaggio televisivo della pellicola».
E che cosa ha da dire Tinto Brass a proposito delle femmine scultoree delle sue pellicole? «A parte alcune attrici di livello come, per esempio, Stefania Sandrelli e Claudia Koll, sono convinto che non basti un bel culo per far carriera... se non c’è una mano che lo spinge». Una battuta da restarci secchi, non c’è che dire. Dopo la quale ha rincarato la dose, anticipando d’avere in cantiere un progetto dal titolo «Il culo è lo specchio dell’anima», ovviamente censurato ancor prima della partenza. La solita ironia? Ai posteri...
In serata è stato poi proiettato il film «Salon Kitty» del ‘75, ma non prima della consegna all’autore veneziano della meritata targa di riconoscimento.

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