Per riscattare il suo cane...

Livorno. Ci sono storie senza tempo. Toccanti come quelle lacrime caldissime contate una per una dagli dèi. E quella di Chicchero e Buck è una di queste. Una storia che inizia il 24 aprile del 1953, in un periodo in cui il mondo non si è ancora del tutto ripreso dall'enorme disastro della Seconda Guerra Mondiale. Durante il quale, munita d'un carretto, gente povera ma generosa si guadagna onestamente il pane quotidiano andando a far «cenci» per le strade e la provincia di Livorno. Tra questi il tredicenne Ilio Giorgi di via Terrazzini (per gli amici «Chicchero», appunto): un ragazzino con tanta voglia di dare una mano al padre straccivendolo e, soprattutto, una spiccata gioia di vivere. Tanta gioia per la vita nonostante la poliomielite all'arto inferiore destro che, a soli 18 mesi, lo colpisce spietatamente. E Buck? Già, chi è Buck? E' un cagnolino di razza mista dal pelo chiaro, intelligente ed affettuoso; il regalo d'un babbo al proprio figlio. Fin qui, dunque, niente di particolare. E allora che cosa succede il 24 aprile del 1953?
Quel giorno Chicchero è con suo padre all'isola di Capraia per lavoro. Sul far della sera la «Lacciaia» (l'accalappiacani) scorge in via Terrazzini un cagnolino privo di piastrina di riconoscimento e regolamentare museruola: è Buck. Il cane finisce così allo stabulario, nonostante le suppliche della gente del quartiere. Qualche giorno dopo Ilio rientra a Livorno e, saputa la notizia, sfoga tutta la disperazione d'un bimbo al quale è stato strappato il proprio cucciolo. Disperazione enfatizzata dal fatto che il tempo stringe: infatti ci sono soltanto 15 giorni per riscattare il bastardino, trascorsi i quali verrà soppresso. E oltretutto il riscatto da pagare è 3660 lire: una cifra impensabile. Ma Chicchero non si perde d'animo. E decide d'andare di notte al canile municipale per rubare il suo cane. Tuttavia tra il dire e il fare c'è di mezzo il... guardiano; per cui l'avventato tentativo si risolve in un nulla di fatto. Allora Ilio si spreme le meningi e arriva alla conclusione che avrebbe raggiunto la somma necessaria per il riscatto, impegnando al Monte dei Pegni alcuni vestiti della sua famiglia. Difatti qualche giorno dopo si alza prestissimo e, mentre i genitori e la sorellina dormono, prende maglioni, giacchette e diversi vestiti della domenica, corre al Monte e, in mattinata, torna a casa con Buck. I familiari - che, in un primo tempo, hanno creduto ad un colpo dei soliti ignoti - vedendo arrivare Chicchero al settimo cielo con al guinzaglio il piccolo Buck scodinzolante e felice di rivedere tutti i suoi amati padroni, naturalmente lo perdonano. Pertanto, tutto è bene quel che finisce bene. Peccato che la storia non sia ancora finita...
Per caso, il commovente gesto di Chicchero giunge all'orecchio di Ghelardo Ghelardini, giornalista de «Il Tirreno» (all'epoca «Il Telegrafo») e, da lì, senza esagerazioni, la notizia inizia a rimbalzare su tutte le testate giornalistiche italiane, addirittura compiendo qualche puntatina interessante all'estero. Ilio riceve così centinaia di lettere con elogi e dimostrazioni di solidarietà ed affetto, nonché forti somme di denaro. Infatti gli operai delle fabbriche fanno collette, gli alunni delle scuole di tutta Italia raccolgono soldi, un numero imprecisato di vaglia telegrafici vengono spediti da ogni dove; tutto per Chicchero e Buck. Anche l'attrice Anna Magnani, che in quel momento si trova negli Stati Uniti impegnata sul set de «La rosa tatuata», invia indumenti e denaro. Così come - e qui la storia, seppure autentica, comincia ad avere davvero dell'incredibile - la regina d'Inghilterra. Al ragazzino è inoltre rilasciato un diploma di benemerenza da parte dell'«Ente nazionale per la protezione degli animali». E viene anche girata una pellicola cinematografica sulla vicenda. Infine, Ilio è operato con successo alla gamba affetta da poliomielite grazie al contributo della «Titanus», della Rai e del Telegrafo stesso.
Una cosa è certa: il giovane Chicchero non avrebbe mai pensato che il suo atto d'amore gli avrebbe fatto acquistare tanta notorietà. Niente di più sbagliato, poiché ogni gesto sincero che parte dal cuore è destinato, suo malgrado, alla grandezza.

Umberto Rina, il parrucchiere di Armando Picchi

Livorno. «Mi sono sempre rifiutato di fare la barba ai miei clienti. A tutti, tranne che a Armando Picchi». Affabile, simpatico, verace: a parlare è Umberto Rina, parrucchiere labronico conosciuto in città. Il quale, durante l'arco della sua vita, ha visto transitare dalla propria attività molti personaggi che hanno fatto la storia di Livorno. Nato nel 1927, oggi Rina si gode la pensione con la moglie Maria Lupi, da bravo «babbo» non sa nascondere una tangibile fierezza nei confronti del figlio Giacomo (che gestisce il negozio d'abbigliamento «Bolgheri» di via Marradi), e passa il tempo coltivando le passioni della sua vita, ossia il canto, la musica classica e l'amore per la pittura. Del resto ha impugnato i ferri del mestiere per quasi cinquant'anni, prima nella bottega di piazza G. Paolo Bartolommei (dal '57 al '65), poi nell'esercizio di via Ginori (dal '65 al 2003), sempre come titolare. E di «pezzi da novanta» ne ha conosciuti, e non pochi. Primo fra tutti, Armando Picchi, calciatore livornese leggendario, del quale fu amico e con il quale condivise le scorribande di gioventù.
«Armando - racconta - era una persona meravigliosa: intelligente, schietto, dall'animo buono. Io e lui eravamo davvero amici. Mi ricordo che una sera cenammo ai Bagni Fiume - c'erano, tra gli altri, Mario Picchi, Enrico Capecchi, Giuliano Campi, Niki Martinelli e Massimiliano Ferretti - e, dopo, improvvisammo una partitella fuori dello stabilimento. Avevamo il pallone nel sangue, non si poteva fare a meno di giocare. In palio? La cena, è chiaro. Profondamente religioso, una volta «Armandino» mi trascinò addirittura alla Messa di Natale. E un'altra volta andammo tutti insieme in una «casa chiusa» vicino all'ospedale. Ma Armando non si smentì affatto: infatti, non entrò».
Eh, sì. Perché un campione si riconosce dal cuore. E dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia. Armando Picchi era questo e anche di più. Era un «libero»; gente pregiata del calcio, di quelli che hanno il pallone prima nel cuore e poi tra i piedi. Il suo viso scavato da marinaio divenne la bandiera d'una compagine che ha fatto la storia del calcio italiano. All'Inter dal '60 al '67, il carisma e il talento da fuoriclasse lo vollero capitano nerazzurro. In seguito, militò a Varese. Ma il destino non fu tenero con lui. Nel '68, a Sofia, un grave incidente, durante un incontro con la nazionale, ne stroncò la carriera. Dopo aver vinto tre scudetti, due coppe europee e due coppe intercontinentali, poteva diventare un grande allenatore. Iniziò col suo Livorno, in serie B, nella stagione 1969-70, a campionato iniziato. Gli amaranto navigavano in cattive acque, ultimi dopo il girone d'andata. La squadra si salvò, chiudendo al nono posto. Fu allora che arrivò, dall'alto, una proposta fantastica, che lui accettò. E così, a soli 35 anni, sedendo sulla panchina della Juventus, Picchi divenne l'allenatore più giovane della serie A. Purtroppo, però, su quella panchina durò pochi mesi: difatti un male incurabile lo strappò anzitempo alla vita. «Armandino», comunque, è stato un campione come oggi non ce ne sono più. Perché una volta l'universo del calcio era un'altra cosa e anche i calciatori che emergevano erano un'altra cosa.
«Armando - prosegue Rina - accompagnò nella mia bottega anche alcuni suoi colleghi dell'Inter, tra i quali Jair Da Costa, Luisito Suarez, Tarcisio Burgnich e Aristide Guarneri. Rammento persino che a Suarez insegnavamo i modi di dire livornesi... e anche qualche parolaccia».
Ma altri «pezzi grossi» hanno calpestato le mattonelle del negozio di Umberto Rina. Chi? Per esempio, Costanzo Balleri (detto «Lupo»), altra stella labronica del pallone, il maestro Paolo Ghiglia (del quale Umberto possiede tre quadri), gli imprenditori Tito Neri e Cesare e Marcello Fremura. Aneddoti curiosi? Si sprecano. Come questo: «Accanto alla mia attività c'era la birreria dei soci Gino e Cesare, dove i portuali - tra cui diversi personaggi noti della Livorno che fu, come i Brondi, i Miniati e i Vanni - andavano a prendere le note con le quali venivano chiamati a lavorare. Loro sbirciavano pian pianino le note e, una volta riconosciuto il proprio nome, data la poca voglia di lavorare, sbattevano forte il pugno sul bancone. Quanti tavoli rotti! E che risate!»
Risate gustose che Umberto fa ancora adesso quando gioca a carte con gli amici Pinucci, Ferretti, Gambacciani, Agretti e Pizzi. Tra una litigata e l'altra e, soprattutto, tra un amarcord e l'altro.

"Berlusconi ineleggibile": sabato 23 marzo manifestazioni e presidi in tutta Italia

Roma. "Berlusconi ineleggibile", vale a dire: lotta dura, senza paura. Una lotta civile, pacata, eppure senza quartiere. Un sussulto d’orgoglio che manifesti una volta per tutte quel rifiuto di ogni intesa raggiunta sottobanco e quella volontà di legalità proprie della società civile democratica. Per una decisiva ricostruzione della statura morale dell’Italia, per esaltare i valori universali di giustizia e libertà, per voltare pagina, finalmente "100 città per la Costituzione e la legalità", questo il nome della serie di iniziative promosse da MicroMega e dal Comitato 23 marzo, che sabato prossimo vedrà manifestazioni e presidi in tante città d’Italia. A Roma l’appuntamento è alle 17 in piazza Santissimi Apostoli, dove si parlerà di conflitto di interessi e della necessità impellente di una nuova legge elettorale, dove verranno letti gli articoli della Costituzione e alcuni testi fondamentali della vita repubblicana dello stivale, e dove si metterà l’accento sulla legittima esigenza di applicare la Legge 361 del 1957, secondo cui Silvio Berlusconi è ineleggibile in Parlamento e dunque dovrebbe tornare ad essere un comune cittadino, senza alcun privilegio di impunità.
La manifestazione di piazza Santissimi Apostoli sarà parallela e contemporanea a quella voluta dal Cavaliere a piazza del Popolo, che invece sarà indirizzata, in sostanza, alla messa in discussione dell’indipendenza di alcuni esponenti della magistratura. "100 città per la Costituzione e la legalità" rappresenta quindi la replica più consona a Berlusconi e al PdL, che hanno ingaggiato battaglia con una parte della magistratura al fine di invalidare la sua legittimazione a svolgere funzioni ed esercitare poteri.
Dopo il clamoroso risultato – 230mila firme – dell’appello di MicroMega affinché le nuove Camere rispettino la Legge 361 del 1957 (agevolando perciò l’estromissione definitiva di Berlusconi dal Parlamento), la rivista di filosofia e politica diretta da Paolo Flores d’Arcais invita i singoli cittadini, i professori, gli studenti di tutti i movimenti e le sigle di lotta, i giornalisti di ogni testata, le associazioni, i partiti, ma pure gli eletti come deputati e senatori della Repubblica a scendere in piazza per palesare il bisogno più impellente di questa Italia d’inizio 2013: ovvero un cambiamento profondo, radicale.
Ai soggetti appena menzionati MicroMega chiede, nel senso compiutamente democratico e civile dell’auto–organizzazione, di pianificare in ogni città una iniziativa analoga a quella di Roma, mobilitandosi attraverso i social network, la posta elettronica, i siti web e i blog, e persino in tutte le occasioni che hanno di intervenire in una trasmissione radiofonica o televisiva. E con l’auspicio, inoltre, che ogni partecipante realizzi il suo cartello, concepisca i suoi slogan, promuova in questi giorni la manifestazione nelle scuole, nelle facoltà, nei luoghi di lavoro, magari anche con volantini autoprodotti.
Nel frattempo prosegue la raccolta di firme sul sito web di MicroMega, poiché moltiplicarle è un’arma democratica di riguardevole impatto, con cui ogni cittadino può esprimere la propria indignazione e superare, con schiettezza sanguigna, l’atteggiamento pilatesco assunto da alcuni partiti proprio in relazione alla faccenda attinente all’ineleggibilità del Cavaliere.
Insomma, si può fare. Non è il momento di storcere la bocca e continuare a galleggiare nello scetticismo. È il momento di crederci.

L'onda d'urto della cosiddetta "antipolitica"

Livorno. Son tutti bravi col senno di poi. In realtà nessuno poteva immaginare un esito così catastrofico per questa tornata elettorale. Beppe Grillo e il suo M5S non si sono abbattuti sul piccolo mondo antico della politica tradizionale come uno tsunami: è stato piuttosto un Armageddon, durante il quale l’ultima tromba del Dies irae ha parecchio squillato per i titani, vale a dire per PdL, Lega Nord, PD e UdC. E comunque, se per questi ultimi ha strombettato con terribile furia, per certe liste è stata addirittura l’estrema unzione.
Il successo di Beppe Grillo era prevedibile, è vero. Ma non in questa misura. Dal movimento dei grillini sono stati razziati – in proporzioni diverse a seconda della formazione bastonata – milioni di voti che un tempo premiavano la politica vecchio stampo. Del resto, le percentuali parlano chiaro. Anzi, invece di parlare, pare che strillino. Altro che aria fritta.
Alla Camera dei Deputati, in occasione delle elezioni politiche del 2008, Pdl e Lega Nord avevano riscosso rispettivamente il 37% e l’8%, mentre il PD si attestava al 33% e l’UdC al 5,6%. Nonostante l’eccezionale rimonta capitanata dal Cavaliere, nel 2013, alla Camera, il PdL e la Lega hanno raggiunto rispettivamente quota 21,6% e 4%.
Inoltre, il PD ha toccato il 25% e l’UdC l’1,8%. I numeri parlano da soli: l’emorragia di voti verso il movimento di Grillo, probabilmente causata dal così designato “sentimento dell’antipolitica”, ha messo al tappeto i pilastri della politica dello stivale, dimostrando un particolare accanimento nei confronti del centro e del centrodestra. Tutto ciò tenendo conto anche di uno scarto di affluenza in negativo del 5% tra il 2008 e il 2013.
Al Senato della Repubblica, nel 2008, il PdL e la Lega si posizionavano rispettivamente al 38% e all’8%, mentre il PD al 33,7%; nel 2013, il PdL ha raggiunto soltanto il 22%, la Lega il 4% e il PD il 27%. La stessa storia raccontata per la Camera, in soldoni.
Il M5S non ha risparmiato nessuno. Addirittura ci sono stati dei trombati eccellenti, come Gianfranco Fini e Antonio Di Pietro. E – almeno per ora, non si può mai dire – non entreranno in Parlamento nemmeno Antonio Ingroia di Rivoluzione Civile e Oscar Giannino di Fare per fermare il declino, tanto per citarne un  paio.
Insomma, l’Italia è un paese di santi, poeti, navigatori e commissari tecnici. Ma anche di venditori di fumo o di politologi da bar sport. Poiché la dispersione ha effettivamente penalizzato tutti. E non solo alcuni schieramenti.

Xool, la web agency amaranto

Livorno. La crisi economica non molla la presa, tuttavia qualche segnale positivo fa capolino. È il caso della rosa di imprese lanciata su Internet da Alessandro Cirinei e dal suo team di esperti, una rosa “made in Leghorn” eppure dal sapore internazionale, che a tutt’oggi dà lavoro a decine di livornesi e che è in espansione. Le società si chiamano Xool, Wickedin e Cityfan, e si muovono agilmente online spaziando nei settori più disparati, dalla progettazione e dallo sviluppo di strumenti di web marketing alle offerte di lavoro nonché alla compravendita di beni nuovi e usati.
«Dopo varie esperienze da manager a livello internazionale – racconta Cirinei – nel 2007 decisi di imboccare la strada dell’imprenditoria a Livorno. Con Massimiliano Pachetti, mio ex compagno di scuola all’Enriques, creammo Xool, società dedicata sia alla realizzazione di piattaforme web e applicazioni per smartphone, sia alla consulenza nel campo del “search engine marketing” e dei social media. Al team si aggiunsero poi Luigi Conte e Simone Danini, esperti del mondo dell’informatica. E fu così che iniziò la nostra avventura manageriale».
Oggi Xool è una web agency capace di supportare aziende e organizzazioni nello sfruttare al meglio le potenzialità di Internet e un punto di riferimento nel settore degli annunci web in virtù delle sue avanzate piattaforme tecnologiche. E, per queste sue peculiarità, vanta già clienti di prestigio, quali Adecco, Il Secolo XIX, General Electric Capital, Tre Italia e tanti altri.
Ma le menti di Xool non potevano fermarsi qui e hanno successivamente partorito altre realtà di successo. Una di queste è Wickedin, nata nel 2009, il cui workspace si trova nel cuore della zona Picchianti. Si tratta di un motore di ricerca dedicato agli annunci di vendita e alle offerte di lavoro, che sviluppa già oltre 1 milione di visite al mese ed è presente in ben 11 paesi, tra cui l’Inghilterra, la Spagna e la Francia. Di recente la sezione “moto” di Wickedin è entrata nel circuito di DueRuote, il celebre magazine motoristico edito da Domus.
Ma non basta: Xool è inoltre proprietaria di una quota di Cityfan, ossia una guida web in cui gli utenti possono cercare e pubblicare recensioni e condividere esperienze su ristoranti, pub e locali di tutta Italia. Cityfan, creata nel 2008 in tandem con un gruppo di imprenditori torinesi, ha la sede commerciale a Livorno ed è gestita da Federico Vasta, anche lui ex compagno di scuola di Cirinei. «Cityfan – spiega Vasta – è una piattaforma sofisticata e interattiva con Facebook. Di recente è stata integrata all’interno di Repubblica.it e, da qualche settimana, è diventata un canale dedicato per tutti i quotidiani di riferimento del Gruppo Espresso».
Xool ha infine acquisito anche una quota di Biancolavoro.it, sito di offerte di lavoro visitato da quasi 700mila utenti al mese e da poco andato online con veste grafica e piattaforma nuove di zecca firmate dai tecnici Xool.
«Quando tornai a Livorno – conclude Cirinei – ero davvero preoccupato per il mio futuro professionale. Oggi, a meno di 5 anni da allora, il nostro gruppo dà lavoro a decine di persone e può vantare clienti prestigiosi e progetti di respiro internazionale. Ma possiamo sempre fare meglio e di più».

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