Vita da clochard

Tirare a campare senza fissa dimora, ai margini della società, guadagnando pochi euro grazie a lavori saltuari o sopravvivendo d’espedienti ingegnosi per mantenere in piedi un’esistenza deturpata dalla povertà: anche Babilonia, purtroppo, non sfugge alla regola. Scansato il filo spinato che separa il cosiddetto “benessere” della gente agiata dall’infelicissima condizione dei clochard, ci si accorge come il vivere d’ognuno di noi sia sì vorticoso da varcare talora confini inimmaginabili; un passo falso e, specie con l’euro galoppante, il giocattolo si rompe e ci si ritrova in un baratro tra i più profondi. «Quei tre barboni – dice un liceale – sono babilonesi purosangue. La mattina, prima di entrare in classe, di solito li troviamo ancora addormentati sotto la tettoia dell’ingresso della scuola. Se, invece, sono già svegli, può accadere che ci rivolgano la parola, ma sempre con molto rispetto. Generalmente, però, si fanno gli affari loro. Ho sentito dire che abbiano addirittura rifiutato l’offerta d’una casa: loro oramai si sono sistemati qui». Homeless per scelta, dunque. La scelta di chi, volontariamente, decide di vivere nel mondo ma, nel contempo, appartato, nell’ombra. Rifuggendo i limiti e le bassezze del progresso, la frenesia quotidiana d’una società contraddittoria che ci correda ogni santo giorno delle penne del pavone. Incuriosito, una sera li raggiungo. Sono fortunato: eccoli lì, stanno dormendo sotto la piccola loggia del liceo. Due di loro, dato il sonno leggero, si svegliano e si accorgono di me prima ancora che mi avvicini; il terzo continua invece a russare della grossa. Al di là del gioco di ombre provocato dal contrasto tra l’oscurità e i neon ipnotici dell’androne della scuola, mi accorgo che, nonostante i capelli arruffati e le barbe lunghe, uno avrà al massimo una trentina d’anni, l’altro poco più di venti. Molto cordialmente, mi presento come cronista d’una testata locale. «Trombare col preservativo – mi confiderà poi quello sui trent’anni – è come giocare a pallone con gli zoccoli!». Che abbiano ragione o torto, mi sa che a questi ragazzi Nietzsche gli fa una pippa...

Il fumo uccide

Quel che segue è operetta di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è parecchio casuale. C’era una volta il Ministro della Salute Parapaponzi, persuaso di preservare la salute dei cittadini della stupenda Repubblica Democratica di Brasilia con l’ausilio d’illuminanti spot pubblicitari del tipo “Il fumo uccide”. E c’era una volta, sempre nella fantasmagorica Brasilia, anche un bravo ragazzaccio di nome Narziss. Uno come tanti. Ma che, non come tanti, a soli vent’anni iniziò ad accusare dei dolori lancinanti alle gambe. Il suo compassionevole medico curante, tal dottor Goldmund, minimizzò: «Quante storie per una sciatica! Prendi questi antidolorifici e, quando puoi, fai del movimento, magari un po’ di jogging: vedrai che ti passa». Fortuna che Narziss, rigido quanto un rigor mortis, preferì non fidarsi. Difatti la risonanza magnetica svelò un’ernia discale tra la quinta vertebra lombare e la prima sacrale, oltretutto grossa come un testicolo asinino. Alla fine Narziss andò sotto i ferri. E una. Poi, toccò a suo padre. Che, di punto in bianco, decise un giorno di farsi un bell’elettrocardiogramma. Purtroppo il cardiologo espresse delle perplessità sull’esito dell’esame. Perplessità che il babbo di Narziss riferì tosto al saccente dottor Goldmund. Il quale, dopo avergli auscultato il cuore e commentato con allegria la professionalità dello specialista anzidetto, ridimensionò il tutto con “intellegentia” professorale: «Macché disfunzione! Stia tranquillo: non ha niente». Un mese dopo, il dottor Goldmund dovette ricredersi e far ricoverare d’urgenza il padre di Narziss in ospedale per insufficienza mitralica e fibrillazione atriale. L’intervento chirurgico fu inevitabile: costole segate, valvuloplastica mitralica, applicazione dell’anello nel pericardio. E due. Infine, sua madre. Una piacente signora mediterranea che, sin da giovane, aveva sofferto d’opprimenti problemi a livello osseo ed articolare. Osteoporosi, ernia cervicale, lombosciatalgie: un calvario. A sessant’anni passati, la mamma di Narziss dovette sorbirsi l’ennesima gagliarda iniezione di fiducia del dottor Goldmund: «Non si preoccupi: dopo questa cura, il suo nervo sciatico non le darà più fastidio». Peccato che la scintigrafia ossea, poco più tardi, rivelò un plasmocitoma malanno per il quale ogni considerazione è superflua. Dunque seguirono la radioterapia e, a ruota, la chemioterapia. Ma è possibile che al dottor Goldmund, considerata l’età della donna e la sua marcata predisposizione a determinate patologie, non sia mai venuto in mente di sottoporla ad esami specialistici preventivi? Insomma: e tre. Patetico? No, soltanto possibile. Possibile finché il male non viene estirpato alla radice. Volere il bene non vuol dire conseguirlo; le buone intenzioni – è noto – lastricano gli inferi. Informare il cittadino su come tutelare la propria salute è cosa buona. Ma, talora, lo si dovrebbe altresì preservare dal pericoloso pressapochismo di certi medici. Poiché, come recitano gli spot pubblicitari sui pacchetti di sigarette: “Il fumo uccide”. Ma non solo il fumo.

Ernesto, Emiliano e Duccio

Al bando i giovinastri pigliamosche. Per i babilonesi Ernesto, Emiliano e Duccio, la parola d’ordine è: “zingarata” in montagna. Che cos’è una zingarata? È quella gitarella a scopo di trombata en passant, di solito organizzata da un pugno di zingaracci – Ernesto, Emiliano e Duccio, appunto – muniti di credenziali accademiche di livello (nel senso dei litri di birra che sono in grado di scolarsi). Quella che, oggigiorno insidiata dai voli low cost, è d’obbligo fare con un furgone corredato di friabili squarci rugginosi, magari reperito da un mercato dell’usato d’estrazione malavitosa. Quella che ti fa prendere d’aceto quando scopri che le ardimentose dittarelle di noleggio spesso non assicurano i propri veicoli al di fuori dell’Unione delle Brasilie, vezzo che preclude agli zingari qualsivoglia assalto carnale al gentilsesso di marca “Lagostina” delle zone off limits (“Lagostina” perché trattasi di tegami, hem...). Insomma, quella che potrebbe essere etichettata come una delle vacanze “on the road” per eccellenza (mitico Jack Kerouac, perdonaci...). Ma può forse rivivere un “mito”? Potrebbero mai rivivere, oggi, Guevara, Zapata e Galimberti? No. Perché mito significa leggenda, ciò che si dice che esista e che, tuttavia, nessuno conosce. Al limite può rivivere la forza – senza retorica ed eroismi – di forgiare una politica davvero “per il popolo”, da mettere in atto con tenacia e, preferibilmente, senza calcolo. Forse i “puppa e dormi” di oggi condividono con i grandi di ieri solo qualche sogno. O anche la voglia insopprimibile di sanare le piaghe prima che vadano in cancrena, chi lo sa. È pur vero che i tempi sono cambiati così come le contingenze: ieri Guevara, Zapata e Galimberti – uomini, non miti – furono costretti a impugnare le armi. Oggi si può scegliere. Poiché versare sangue, oltreché essere un atto contro natura, in ogni percorso umano innesca scompiglio e recrudescenza. E poi ci sono già troppi statisti paranoici che, a morte e distruzione, rispondono con morte, distruzione e... batter di cassa.  Intanto, comunque, i nostri Ernesto, Emiliano e Duccio avranno la possibilità di rinfrescarsi le idee con un’algida zingarata in montagna, sperando che, al contrario di tutti i giovinastri pigliamosche, non approfittino dell’occasione soltanto per attaccare – ohibò – un collier di preservativi usati allo specchietto retrovisore. Perché, parafrasando Giorgio Bocca: “Salendo verso l’alto, l’aria diviene più pura”.

Bob, sei stato nominato

Quel che segue è una parabola fantasiosa. Ogni allusione a persone o fatti accaduti è fortuita. Omonimi e presunti diretti interessati non ce ne vogliano, poiché tutto è stato orchestrato a fin di bene. Ma veniamo al dunque: negli ultimi 13 anni oltre 1200 giornalisti ed operatori dei mass media sono deceduti sul campo mentre svolgevano il proprio lavoro, spesso perché qualcuno non tollerava ciò che raccontavano. Portando allo scoperto quel che si vuol nascondere, i giornalisti corrono difatti dei rischi inequivocabili, oggi divenuti dimolto preoccupanti. Oramai mobbing, minacce e violenze sono diventati ingredienti inevitabili del cacciucco del cronista: ma, d’altro lato, come si fa a non chiedere perché? Quanti treni deragliano, quanti vulcani eruttano, quanti scannapagnotte abusano del proprio potere e quanta gente viene derubata, oppressa e uccisa; eppure, se non c’è una Shahrãzãd che raccoglie una testimonianza o che scatta una foto, è come se questi fatti non fossero mai accaduti, poiché talvolta la storia esiste solo se qualcuno la racconta. Tuttavia, contro i giornalisti si tende lo stesso a puntare il dito. E il bello è che ciò si avverte ad ogni livello, dalle piazze altisonanti del giornalismo internazionale a quelle più modeste delle cronache cittadine. Un nostro amico, Bob Woodward, cronista provinciale in erba che tempo fa si occupò a più riprese d’un caso d’elettrosmog, ne sa infatti qualcosa. Ecco la storia: il comitato del quartiere “A” di Babilonia – ridente città sul mare dell’eccezionale Repubblica Democratica di Brasilia – muovendo causa, era riuscito a ottenere sulla carta la traslazione delle linee aeree dell’alta tensione perché, a detta dei residenti, queste ultime lo attraversavano senza tenere conto dei necessari criteri di sicurezza. In effetti, la comunità scientifica internazionale non è in grado d’escludere gravi danni alla salute degli esseri umani in seno all’esposizione all’elettromagnetismo. E per alcuni studiosi, addirittura, il bagno di radiazioni può innescare delle modifiche a livello cellulare ed aumentare il rischio di contrarre malattie tumorali. Comunque sia, il trasferimento delle linee venne progettato in direzione dei rioni “B” e “C” della città, i cui abitanti, per reazione, costituirono subito un comitato opposto. Si ebbe la classica guerra tra poveri: quelli di “A” volevano far spostare l’elettrodotto a tutti i costi e in tempi brevi, mentre quelli di “B” e “C”, se proprio dovevano accoglierlo, sempre per tutela della salute esigevano almeno di vederlo interrare. Come andò a finire? Il rione “A”, come da copione, trionfò: il colonnato elettrico fu infatti spostato verso i quartieri “B” e “C” senza interramento, nonostante le proteste. Durante la vicenda, gli articoli di Bob Woodward, anche se in via involontaria, parvero rallentare l’esecuzione dei lavori. Tanto che un giorno il bisunto dr. Richard Nixon, coordinatore del comitato del rione “A” e, casualmente, medico curante dello stesso Woodward, approfittando della confidenza, osò presentarsi a casa del cronista e, col miele sulle labbra, ebbe a domandare: “Ma come mai ti interessi tanto a questo caso? Non avrai mica... qualcosa da guadagnarci?”. Come dire: Bob, sei stato nominato. Roba da querela.

99 fantastici anni

Ciò che segue è una favoletta fantastica. Ogni riferimento a persone o fatti accaduti è assolutamente casuale. Innanzitutto, si viene contattati per telefono. L’operatrice ci informa che si ha diritto a un soggiorno gratuito presso una fantastica località di villeggiatura. E ci invita a ritirare il premio in un “dato posto” a una “data ora” (che variano da città a città, essendo l’iniziativa di tipo itinerante). Rendez vous in cui ci verrà data la possibilità d’assistere alla presentazione delle fantastiche offerte turistiche della società che ha regalato il soggiorno e d’aderire o meno ad esse. Presentazioni in serie, filtrate dal codice personale d’invito, la cui durata può oscillare da un quarto d’ora a venti minuti. E, alla fine, per ogni scaglione d’intervenuti, verranno sorteggiati anche dei fantastici set di valigie da viaggio, a prescindere dall’adesione alle proposte contrattuali illustrate dai venditori. Un’operazione dalla dinamica curata nei minimi dettagli e orchestrata a scopo di vendita e pubblicità dalla “Lee Harvey Oswald Srl”, società che opera nel campo turistico. Iniziative itineranti – queste – che coinvolgono 40.000 nominativi alla volta, piluccati all’interno d’un raggio di 20 chilometri dal luogo dell’incontro. E spesso succede che diversi prescelti ritirino il soggiorno–premio senza assistere alla presentazione poiché l’afflusso – udite bene – ha superato le aspettative. «Progettiamo circuiti turistici – spiega Clay Shaw, amministratore della “Lee Harvey Oswald Srl” – che interessano hotel, villaggi ed appartamenti. Li racchiudiamo in cataloghi, che arrivano a casa dei nostri soci, i quali possono così scegliere il loro fantastico viaggio. Essendo un circuito esclusivo, si può godere di trattamenti d’élite soltanto se ci si associa. E si diventa soci acquistando una fantastica quota immobiliare d’una data struttura alberghiera». «Le multiproprietà – prosegue – non c’entrano niente. Non c’è rodito e non c’è atto notarile: si tratta soltanto di firmare un fantastico certificato associativo – emesso dal “Jack Ruby Embarrassment”, organo internazionale che tutela le formule d’azionariato – che dà diritto a diventare socio del club per 99 fantastici anni. La firma implica il pagamento iniziale d’una fantastica quota che può variare da 8.000 a 11.000 euro circa, a seconda della scelta contrattuale. Ma, dopo l’iscrizione, il nostro socio può godere di tutti i fantastici vantaggi previsti». E aggiunge che «le firme da mettere sono 6 e i documenti da esibire 2; segno evidente che ci rivolgiamo a un fantastico pubblico adulto e consapevole. Chi firma, ha il diritto di recedere entro 10 giorni, altrimenti viene raggiunto a casa e invitato a rispettare il nostro fantastico contratto». Ed è allora, cari i miei clienti adulti e consapevoli, che son fantastici dolori...

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